
Dia, in difficoltà chi impugna il titolo abilitativo
Provvedimento amministrativo o atto privato, per il CdS è ancora da chiarire la natura giuridica
La Dia può essere infatti considerata un provvedimento amministrativo o un atto privato. Nel primo caso si può ricorrere al Giudice amministrativo. Nel secondo l’istanza deve essere presentata all’amministrazione, impugnando il suo eventuale silenzio – rifiuto.
Nel corso della sua attività, il CdS si è pronunciato in entrambi i sensi. Se da una parte ha appoggiato la natura privata del titolo abilitativo, dall’altra ha affermato che chi ritiene di essere danneggiato da una attività edilizia assentita in modo implicito, come accade con la Dia, può rivolgersi al giudice amministrativo per chiederne l’annullamento.
Con l’ordinanza 14/2011 del 5 gennaio scorso, il Consiglio di Stato ha ricordato che dal punto di vista normativo la Dia è stata introdotta con la Legge 241/1990. La stessa norma che, dopo le modifiche apportate dalla manovra estiva, disciplina oggi la Scia.
Tenendo conto del Dpr 380/2001, Testo unico dell’edilizia, la Dia può essere considerata come un provvedimento amministrativo dal momento che a volte può sostituire il permesso di costruire.
Il CdS ha a sua volta affermato che la Dia non è uno strumento di liberalizzazione e privatizzazione delle attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale. Chi si ritiene danneggiato deve quindi rivalersi contro il titolo abilitativo e non contro il silenzio dell’amministrazione.
Lo stesso CdS ha però messo in dubbio la natura di provvedimento che non assicurerebbe adeguata tutela a chi, volendosi opporre all’intervento, avrebbe difficoltà a individuare il termine per l’impugnativa. Secondo questa impostazione, la Dia sarebbe quindi un atto privato al quale non possono applicarsi le regole del procedimento amministrativo.
Per il Consiglio di Stato, poi, l’evoluzione dell’ordinamento verso un maggiore grado di libertà, confermata con l’introduzione della Scia, enfatizzerebbe la natura privatistica dell’atto. Al tempo stesso non può però essere smentita l’ipotesi opposta.

il Comune nelle autorizzazioni applica " Salvi i diritti di terzi " e non si prende la responsabilità di verificare prima della dell'autorizzazione, come fanno i nostri confinanti paesi esteri, già che siamo in Europa guardiamo fuori dalla nostra finestra e cerchiamo di recepire modalità SNELLE e MENO BUROCRATI...quando un cittadino si oppone ad un lavoro del confinante , il Comune è suo dovere verificare e convocare le parti per una soluzione giusta , invece in Italia si deve andare dall'avv. si mette in moto un giro che dura decenni , allora ci chiediamo : siamo vicini ai cittadini ? li ascoltiamo ? se fosse così le nostre aule dei tribunali sarebbero vuote. Grazie