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Un milione di euro al giorno per riparare i danni del maltempo
AMBIENTE
Un milione di euro al giorno per riparare i danni del maltempo
Legambiente: occorrono manutenzione del territorio e politica di ‘‘convivenza con il rischio’’
05/12/2012 - L’Italia spende un milione di euro al giorno per riparare i danni del maltempo. Solo nell’ultimo triennio - dal disastro in provincia di Messina a inizio ottobre 2009 - lo Stato ha stanziato più di un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici Regioni; una cifra molto elevata che copre però solo una parte degli ingenti danni censiti.
In Sicilia, Veneto, Toscana e Liguria, le regioni colpite dagli eventi più gravi in questi ultimi 3 anni, è andato l’80% delle risorse stanziate, ma i danni ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, quasi il triplo delle risorse messe a disposizione dei Comuni colpiti. Il restante 20% dei fondi per l’emergenza è andato alla Calabria, la Campania, la Puglia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia, il Piemonte, il Friuli e la Basilicata.
I conti li ha fatti Legambiente, aggiungendo che, nonostante gli altissimi costi, la prevenzione tarda ad arrivare. A fronte di una spesa prevista di 44 miliardi - spiegano gli ambientalisti -, negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico (PAI) redatti dalle Autorità di bacino, per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro; fondi che sono destinati a coprire solo i lavori più urgenti, ovvero 4.800 interventi considerati di “maggior urgenza” su un totale di 15mila interventi previsti da tutti i PAI.
Secondo Legambiente, per pianificare e programmare le politiche territoriali, è imprescindibile considerare gli effetti dei cambiamenti climatici. I fenomeni metereologici intensi hanno perso la loro eccezionalità per diventare sempre più frequenti, come confermano i dati Ispra (Annuario dei dati ambientali 2011, Ispra 2012) relativi alla quantità di pioggia caduta nei principali eventi alluvionali dal 2009 ad oggi. E se frane e alluvioni non sono purtroppo una novità nel nostro Paese, i dati disponibili dal 1948 al 2011 mostrano come le regioni colpite siano raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da quattro a otto.
“Il dibattito è tuttora incentrato su come reperire le risorse da destinare al contrasto del rischio idrogeologico, che è un punto fondamentale - commenta il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. Occorre anche chiedersi, però, quale debba essere un’efficace politica di prevenzione e difesa del suolo, che non si limiti a interventi puntuali.
Serve un Piano nazionale che preveda un’azione urgente ed efficace per la mitigazione del rischio, che stabilisca strumenti e priorità d’intervento e formuli una nuova proposta di gestione del territorio. Per questo è necessario il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori d’interesse: la comunità scientifica, gli esperti, gli enti competenti, le amministrazioni locali interessate, il mondo dell’agricoltura, le associazioni ambientaliste e i cittadini che vivono nei territori a rischio.
Inoltre - aggiunge Cogliati Dezza - la manutenzione del territorio assume un ruolo cruciale, soprattutto se tradotta in presidio territoriale svolto dalle Comunità locali. Infine si dovrà applicare una politica attiva di “convivenza con il rischio”, sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione”.
In Sicilia, Veneto, Toscana e Liguria, le regioni colpite dagli eventi più gravi in questi ultimi 3 anni, è andato l’80% delle risorse stanziate, ma i danni ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, quasi il triplo delle risorse messe a disposizione dei Comuni colpiti. Il restante 20% dei fondi per l’emergenza è andato alla Calabria, la Campania, la Puglia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia, il Piemonte, il Friuli e la Basilicata.
I conti li ha fatti Legambiente, aggiungendo che, nonostante gli altissimi costi, la prevenzione tarda ad arrivare. A fronte di una spesa prevista di 44 miliardi - spiegano gli ambientalisti -, negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico (PAI) redatti dalle Autorità di bacino, per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro; fondi che sono destinati a coprire solo i lavori più urgenti, ovvero 4.800 interventi considerati di “maggior urgenza” su un totale di 15mila interventi previsti da tutti i PAI.
Secondo Legambiente, per pianificare e programmare le politiche territoriali, è imprescindibile considerare gli effetti dei cambiamenti climatici. I fenomeni metereologici intensi hanno perso la loro eccezionalità per diventare sempre più frequenti, come confermano i dati Ispra (Annuario dei dati ambientali 2011, Ispra 2012) relativi alla quantità di pioggia caduta nei principali eventi alluvionali dal 2009 ad oggi. E se frane e alluvioni non sono purtroppo una novità nel nostro Paese, i dati disponibili dal 1948 al 2011 mostrano come le regioni colpite siano raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da quattro a otto.
“Il dibattito è tuttora incentrato su come reperire le risorse da destinare al contrasto del rischio idrogeologico, che è un punto fondamentale - commenta il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. Occorre anche chiedersi, però, quale debba essere un’efficace politica di prevenzione e difesa del suolo, che non si limiti a interventi puntuali.
Serve un Piano nazionale che preveda un’azione urgente ed efficace per la mitigazione del rischio, che stabilisca strumenti e priorità d’intervento e formuli una nuova proposta di gestione del territorio. Per questo è necessario il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori d’interesse: la comunità scientifica, gli esperti, gli enti competenti, le amministrazioni locali interessate, il mondo dell’agricoltura, le associazioni ambientaliste e i cittadini che vivono nei territori a rischio.
Inoltre - aggiunge Cogliati Dezza - la manutenzione del territorio assume un ruolo cruciale, soprattutto se tradotta in presidio territoriale svolto dalle Comunità locali. Infine si dovrà applicare una politica attiva di “convivenza con il rischio”, sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione”.