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Efficienza energetica: in Italia investimenti pubblici non efficaci

Efficienza energetica: in Italia investimenti pubblici non efficaci

Corte dei conti UE: fondi usati per rinnovare gli edifici pubblici; risparmio energetico fine secondario

Vedi Aggiornamento del 23/04/2013
di Rossella Calabrese
Vedi Aggiornamento del 23/04/2013
16/01/2013 - L’Italia non ha raggiunto gli obiettivi di investimento nelle politiche enegetiche. In altre parole, i progetti di di efficienza energetica cofinanziati dall’Unione europea non sono stati efficaci sotto il profilo dei costi/benefici. Lo afferma la Corte dei conti europea nella Relazione speciale “Efficacia in termini di costi/benefici degli investimenti della politica di coesione nel campo dell'efficienza energetica”.
 
Valutando gli investimenti della politica di coesione nell’efficienza energetica, la Corte ha rilevato che i progetti finanziati dagli Stati membri “non avevano obiettivi ragionevoli in termini di costi/efficacia, come ad esempio il costo per unità di energia risparmiata”.

Secondo i giudici comunitari “pur perseguendo obiettivi di risparmio energetico e di miglioramento del confort”, i progetti esaminati “non erano selezionati ai fini del finanziamento in base alla potenziale capacità di produrre benefici finanziari attraverso il risparmio energetico, bensì in base al fatto che gli edifici erano considerati ‘pronti’ a ricevere i finanziamenti se necessitavano di una ristrutturazione e se la relativa documentazione era conforme ai requisiti”.
 
“Nessuno dei progetti da noi controllati è stato oggetto di una valutazione del fabbisogno e neppure di una analisi delle potenzialità di risparmio energetico in relazione agli investimenti”, ha dichiarato Harald Wögerbauer, il componente della Corte responsabile della relazione. “Gli Stati membri hanno fondamentalmente utilizzato questi fondi per rinnovare edifici pubblici, mentre il risparmio energetico era, nel migliore dei casi, una finalità secondaria”.
 
La Corte ha evidenziato che il periodo di rimborso previsto per gli investimenti era, in media, di 50 anni, e in alcuni casi arrivava fino a 150 anni. “Ciò significa - ha spiegato - che questi fondi non sono stati spesi in modo razionale, dal momento che la vita delle componenti o degli edifici rinnovati è più breve, e possono essere per lo più considerati come una perdita dal punto di vista del risparmio energetico”.
 
L’INDAGINE DELLA CORTE DEI CONTI
Il lavoro della Corte ha inteso appurare se:
- nelle fasi di programmazione e finanziamento siano state create le condizioni adeguate per rendere efficaci sotto il profilo dei costi/benefici gli investimenti nell’efficienza energetica;
- i progetti di efficienza energetica nell’edilizia pubblica siano stati efficaci sotto il profilo dei costi/benefici.
 
L’audit è stato svolto in Repubblica ceca, Italia e Lituania, cioè nei Paesi che avevano ricevuto i contributi più consistenti dal ‘Fondo di coesione’ e dal ‘Fondo europeo di sviluppo regionale’ per le misure di efficienza energetica nel periodo 2007-2013 e che avevano anche stanziato gli importi più elevati per i progetti entro il 2009. Attraverso i fondi della politica di coesione, dal 2000, l’Unione europea ha speso quasi 5 miliardi di euro per il cofinanziamento di misure di efficienza energetica.

Sono stati esaminati 4 programmi operativi e un campione di 24 progetti di investimento per l’efficienza energetica nell’edilizia pubblica. L’audit ha concluso che non sono state create, in fase di programmazione e finanziamento, condizioni adeguate per rendere efficaci, in termini di costi/benefici, gli investimenti nell’efficienza energetica e che i progetti di efficienza energetica negli edifici pubblici controllati non sono stati efficaci sotto il profilo dei costi/benefici. Questo perché i programmi esaminati non erano supportati da adeguate valutazioni del fabbisogno che individuassero i settori specifici in cui erano possibili risparmi energetici e le diverse opzioni per conseguirli in modo efficace dal punto di vista dei costi/benefici, giustificando così le misure scelte e il loro costo.
 
Nell’assegnazione dei finanziamenti ai progetti di efficienza energetica, gli Stati membri non hanno tenuto conto del concetto di efficacia sotto il profilo dei costi/benefici, concetto che non era stato neppure integrato nella valutazione svolta dalla Commissione prima dell’approvazione dei programmi operativi.
 
I progetti controllati, pur avendo prodotto le realizzazioni fisiche previste (sostituzione di finestre e porte o isolamento di muri e tetti), sono costati troppo, in relazione ai potenziali risparmi energetici, e, più dell’efficienza energetica, è stata valutata la necessità di rinnovare gli edifici pubblici.
 
Anche se i progetti miravano a risparmiare energia e ad accrescere il confort, non hanno generato un buon rapporto tra i risparmi energetici e i relativi costi d’investimento. In media, il periodo di rimborso previsto è stato di circa 50 anni, troppo lungo rispetto alla vita utile delle componenti rinnovate e anche degli edifici stessi.
 
Inoltre, gli audit energetici non erano obbligatori (Italia, Lituania) o, dove richiesti (Repubblica ceca), raccomandavano opzioni di investimento troppo costose. In 18 dei 24 progetti controllati, il risparmio energetico effettivo risultante dal progetto non ha potuto essere verificato perchè non era stato misurato in modo attendibile.
 
Per migliorare gli investimenti nell’efficienza energetica, la Corte raccomanda alla Commissione di subordinare la concessione di finanziamenti per misure di efficienza energetica nell’ambito della politica di coesione a un’adeguata valutazione del fabbisogno, ad un regolare monitoraggio, all’impiego di indicatori di performance confrontabili, all’uso di criteri trasparenti per la selezione dei progetti e a costi di investimento standard per unità di energia da risparmiare, con un periodo massimo accettabile di rimborso non attualizzato dell’investimento.
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