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Edifici a ‘effetto bomba’, Legambiente: demolirli o delocalizzarli

Edifici a ‘effetto bomba’, Legambiente: demolirli o delocalizzarli

L'associazione ha individuato 10 strutture in aree a rischio idrogeologico che metterebbero a rischio la vita degli abitanti

Vedi Aggiornamento del 28/10/2016
Edifici a ‘effetto bomba’, Legambiente: demolirli o delocalizzarli
di Alessandra Marra
Vedi Aggiornamento del 28/10/2016
22/06/2015 -  Un tribunale costruito tra due fiumi, una Casa dello Studente dentro una fiumara, un cinema multisala edificato su una scarpata. Sono alcuni tra i dieci edifici che Legambiente definisce a ‘effetto bomba’ perché realizzati in aree a rischio idrogeologico e, quindi, pericolosi per l’incolumità di chi li abita e li usa. 

Nel dossier “Effetto bomba”  l'associazione illustra i danni che ciascuno dei dieci edifici provocherebbe, in caso di eventi calamitosi, se non si provvede velocemente alla loro demolizione o delocalizzazione.
 

10 strutture in zone al alto rischio

Secondo il dossier redatto dall’associazione sono dieci i luoghi dove è urgente intervenire per scongiurare nuove tragedie ed effetti disastrosi:
- tribunale di Borgo Berga di Vicenza, costruito tra due fiumi;
- casa dello Studente di Reggio Calabria, edificata all'interno di una fiumara (nella foto);
- deposito di materiali radioattivi di Saluggia; 
- edifici residenziali abusivi sul torrente Coriglianeto (Cs);
- centro Multisala Cinema di Zumpano (Cs), edificato su una scarpata vicino al fiume Crati;
- centro Commerciale Megalò in provincia di Chieti, realizzato a soli 150 metri dall'argine del fiume Pescara;
- scuola di Aulla, realizzata sul letto del fiume Magra;
- segherie di Carrara;
- l'area artigianale di Genova;
- complesso residenziale Isola sacra, Fiumicino.  
 
Queste zone sono autentiche situazioni di emergenza, vere e proprie bombe a orologeria in attesa del prossimo evento meteorologico, che mettono in pericolo vite umane e richiedono notevoli spese per riparare i danni, di anno in anno più elevate. I dieci casi simbolo sono collocati in aree R3 e R4 di rischio idrogeologico, dove esondazioni, alluvioni e situazioni di pericolo si ripetono con cadenza regolare e dove la prossima emergenza può essere solo questione di tempo.
 
In questi luoghi infatti si sono già succedute pesanti alluvioni e frane e in caso di eventi climatici estremi, tali strutture potrebbero amplificarne gli effetti mettendo a rischio la vita delle persone che in molti casi ci vivono e ci lavorano. Ecco perché risulta così importante delocalizzarli o demolirli.
 

Dissesto idrogeologico: rischi e pericoli

Secondo Legambiente sono 6.633 i Comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico e oltre 6 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni, a causa della forte urbanizzazione che ha interessato anche le aree a maggior rischio.
 
Dal 2000 al 2015 si sono verificati circa 2 mila eventi atmosferici estremi con frane e allagamenti che hanno causato la morte di più di 300 persone e richiesto uno stanziamento economico di oltre un miliardo di euro solo negli ultimi cinque anni.
 
Alla luce di questi dati secondo Legambiente bisogna intervenire al più presto, come ha dichiarato il vice presidente dell'associazione Edoardo Zanchini: “Occorre cambiare le forme di intervento nel territorio e ripensare la pianificazione urbanistica attraverso la chiave dell'adattamento al clima. Ce lo chiede da tempo la commissione europea e ce lo consentirebbero anche i fondi strutturali 2014-2020. Si tratta però di un grande cambiamento culturale. I cambiamenti climatici ci obbligano a guardare in modo diverso al territorio, perché proprio la gestione sciagurata del territorio può contribuire ad aggravare i rischi per le persone e le cose”.
 
Zanchini ha anche aggiunto: “Di fronte a questo scenario servono scelte nuove e radicali: in caso di edifici che mettono a rischio le persone che vi abitano o vi lavorano e anche chi sta intorno, l'unica scelta possibile è quella della demolizione e delocalizzazione delle attività. Per questo ci aspettiamo un impegno in tal senso e un segnale di discontinuità da parte del Governo, a partire dall’appuntamento degli Stati generali sul clima”.
 

Strutture pericolose: demolirle o delocalizzarle

Tale soluzione potrebbe sembrare difficile da percorrere ma risulterebbe più conveniente e sostenibile a lungo termine. Oggi tali pratiche non sono minimamente considerate anche nel caso di edifici, infrastrutture e opere costruite palesemente in posti sbagliati ad elevato rischio, e quindi periodicamente soggetti ad interventi per la loro manutenzione o per la ricostruzione delle opere che li difendono, continuando a preferire la strategia di mantenerli dove sono e di proteggerli strenuamente.
  
Il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti, ha dichiarato: “Occorre ragionare seriamente sulle possibili soluzioni e sulla necessità di rimuovere questi edifici pericolosi. Tutti i soggetti coinvolti (Ministeri, Regioni, Autorità di bacino, uffici tecnici comunali, ordini professionali, associazioni di categoria, commercianti, artigiani, comitati e cittadini), dovrebbero avviare una concertazione con l'obiettivo di rivedere la programmazione degli interventi e predisporre opportuni vincoli sulle aree oggetto degli interventi di delocalizzazione, individuando soluzioni procedurali e economiche per realizzare gli interventi di demolizione e delocalizzazione.
 
“Occorre inserire gli interventi di delocalizzazione all'interno della pianificazione di bacino (a partire dai Piani di gestione del rischio alluvioni), e in un programma più ampio di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e riqualificazione urbana, con l'obiettivo di aumentare la capacità di risposta della città ai sempre più frequenti eventi meteorici intensi, ristabilendo il delicato equilibrio tra la città e i corsi d'acqua e riducendo il carico delle attività antropiche nelle aree a maggior rischio” ha concluso Zampetti.


 
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