
Ingegneri a Architetti, i contributi a Inarcassa sono sempre dovuti?
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Ingegneri a Architetti, i contributi a Inarcassa sono sempre dovuti?
La Cassazione torna sul tema delle attività riservate per legge ai progettisti o che richiedono competenze tecniche specifiche
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del 27/07/2023

04/09/2018 - Se le attività svolte dal professionista non sono strettamente connesse con il suo titolo professionale, non è obbligatorio il versamento dei contributi a Inarcassa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 20389/2018.
Il professionista, iscritto ad Inarcassa, non aveva versato i contributi sui compensi percepiti per queste attività perché considerate estranee all’ambito della sua categoria professionale.
Al contrario, Inarcassa aveva chiesto il pagamento dei contributi sui compensi percepiti e di una sanzione.
I giudici hanno escluso ogni nesso di riferibilità tra l'attività svolta ed il bagaglio culturale tipico del titolo professionale acquisito con la laurea in ingegneria nucleare. Per questo motivo hanno ritenuto “non dovuti” i contributi richiesti da Inarcassa.
La Cassazione ha ricordato che sull’argomento si sono verificati diversi contenziosi, risolti in base a due linee interpretative. La prima, più restrittiva, prevede il pagamento dei contributi ad Inarcassa solo per lo svolgimento di attività riservate per legge agli ingegneri o agli architetti. La seconda, meno rigida, stabilisce che vadano versati i contributi ad Inarcassa anche per le attività non riservate per legge agli ingegneri e agli architetti, ma solo se il bagaglio culturale del professionista è stato determinante nello svolgimento dell’attività, cioè se l’ingegnere o l’architetto ha utilizzato competenze tecniche specifiche acquisite nel suo corso di studi e di formazione professionale.
I giudici hanno quindi concluso che bisogna valutare l’attività effettivamente svolta dal professionista. Nel caso esaminato, per lo svolgimento delle attività di marketing il professionista non ha utilizzato competenze tipiche del suo corso di studi. La Cassazione ha quindi stabilito che non fosse dovuto alcun contributo a Inarcassa.
Professionisti e contributi a Inarcassa, il caso
Nella controversia esaminata dalla Cassazione, un ingegnere nucleare aveva svolto un’attività di marketing come consulente per un’azienda, occupandosi nello specifico di analisi di marginalità (costi benefici) e analisi dei processi per porre i prodotti sul mercato.Il professionista, iscritto ad Inarcassa, non aveva versato i contributi sui compensi percepiti per queste attività perché considerate estranee all’ambito della sua categoria professionale.
Al contrario, Inarcassa aveva chiesto il pagamento dei contributi sui compensi percepiti e di una sanzione.
Professionisti, quando bisogna versare i contributi a Inarcassa
La Cassazione ha respinto il ricorso di Inarcassa affermando che l’attività svolta dall’ingegnere in realtà “era connotata dalla sua prevalente operatività delle strategie di marketing, quindi estranea all'ambito della riserva della categoria professionale, come prevista dagli artt. 51 e 52 del Regolamento di cui al Regio Decreto n.2537/1925”.I giudici hanno escluso ogni nesso di riferibilità tra l'attività svolta ed il bagaglio culturale tipico del titolo professionale acquisito con la laurea in ingegneria nucleare. Per questo motivo hanno ritenuto “non dovuti” i contributi richiesti da Inarcassa.
La Cassazione ha ricordato che sull’argomento si sono verificati diversi contenziosi, risolti in base a due linee interpretative. La prima, più restrittiva, prevede il pagamento dei contributi ad Inarcassa solo per lo svolgimento di attività riservate per legge agli ingegneri o agli architetti. La seconda, meno rigida, stabilisce che vadano versati i contributi ad Inarcassa anche per le attività non riservate per legge agli ingegneri e agli architetti, ma solo se il bagaglio culturale del professionista è stato determinante nello svolgimento dell’attività, cioè se l’ingegnere o l’architetto ha utilizzato competenze tecniche specifiche acquisite nel suo corso di studi e di formazione professionale.
I giudici hanno quindi concluso che bisogna valutare l’attività effettivamente svolta dal professionista. Nel caso esaminato, per lo svolgimento delle attività di marketing il professionista non ha utilizzato competenze tipiche del suo corso di studi. La Cassazione ha quindi stabilito che non fosse dovuto alcun contributo a Inarcassa.