Professionisti e illeciti disciplinari, il caso
La Cassazione si è pronunciata sul caso di un architetto cui erano stati contestati una serie di violazioni dei doveri di lealtà e trasparenza nei rapporti con i colleghi e gli organi istituzionali della professione.L’architetto aveva utilizzato un indirizzo mail istituzionale per l'invio di comunicazioni personali, espresso giudizi denigratori in merito a un convegno organizzato da una associazione costituita da ingegneri e architetti e diffuso fra gli iscritti comunicazioni contenenti informazioni non vere, destinate ad incidere sul voto per il rinnovo del Consiglio provinciale dell'Ordine.
Per questi motivi, l’Ordine lo aveva sanzionato con la sospensione dall’esercizio della professione per dieci giorni.
L’architetto aveva però presentato ricorso sostenendo che le azioni contestate dall’Ordine non erano connesse all’esercizio della professione di architetto.
Professionisti e illeciti disciplinari non connessi all’esercizio della professione
I giudici hanno respinto tutte le motivazioni proposte dal professionista spiegando che “in materia disciplinare è applicabile il principio, tipico di tutti i sistemi sanzionatori, quali quello penale, secondo cui è sufficiente che l'illecito sia ascrivibile all'autore del fatto a titolo di colpa”. Questo significa che la sanzione scatta anche se il comportamento non ha natura dolosa.Citando la Legge 1395/1923 (Tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti) e il Regio Decreto 2537/1925 (Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto), la Cassazione ha sottolineato che “gli abusi e le mancanze commessi nell'esercizio della professione non escludono la rilevanza disciplinare di altri fatti o comportamenti commessi dal professionista e contrari alle norme di deontologia, anche se non siano in diretta relazione con l'esercizio della professione e con la qualifica professionale”. Questo vuol dire che il professionista è punibile ogni qualvolta commetta un’azione contraria alle norme deontologiche, anche se la violazione non avviene durante l’esercizio della professione.
La Cassazione ha concluso che i comportamenti contestati al professionista, “seppure non direttamente posti in essere nell'esercizio della professione intesa in senso stretto, erano pur sempre relativi a fatti direttamente inerenti l'attività di architetto esercitata”.