
Agibilità, un bypass per gli abusi edilizi?
NORMATIVA
Agibilità, un bypass per gli abusi edilizi?
Il Consiglio di Stato spiega cosa accade ad un immobile agibile ma totalmente difforme
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del 06/06/2025

23/01/2020 - Si può chiedere ed ottenere l’annullamento di un’ordinanza di demolizione di abusi edilizi? Molto probabilmente sì, verrebbe da rispondere, leggendo la decisione del TAR Abruzzo- L'Aquila che, con la sentenza n. 454/2013, ha accolto il ricorso, proposto da un condominio costituitosi in giudizio, contro il provvedimento di demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi ordinato dal Comune di Giulianova a seguito di una denuncia.
Il TAR giunge a questa conclusione motivandola con il fatto che: “era trascorso un lungo tempo dalla costruzione del fabbricato (era il 1966) e inoltre la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio della licenza di agibilità rilasciato nel 1969.”
Dato che da allora il Comune non aveva mai fatto verifiche e vista la presenza del certificato di agibilità e per di più che la realizzazione era antecedente al 1967, si sono creati i presupposti per generare nei proprietari la convinzione che il comune reputava legittima l’opera realizzata nonostante gli abusi fossero qualificabili come variazioni essenziali nondimeno realizzati su un immobile ricadente in zona soggetta a vincolo paesaggistico.
Lo stesso TAR definisce questa convinzione “buona fede” per cui il “comune avrebbe dovuto fornire una specifica motivazione sull’interesse pubblico al ripristino, considerato che la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio di agibilità”.
Ribalta del tutto, quanto deciso dal TAR in primo grado, il Consiglio di Stato, Sez.VI, con la sentenza n.8180 del 29 novembre 2019, dichiarando inammissibile la “deroga all’ingiunzione di demolizione “emessa ai sensi dell’art. 31 del dpr 380/2001, Testo unico per l’edilizia (TUE).
Anzi il decorso del tempo rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento (Consiglio di Stato, Sez. VI: sentenza 27 marzo 2017, n. 1386; sentenza 6 marzo 2017, n. 1060); Concetto che viene enfatizzato dall’art. 32 comma 3 del TUE, per il quale se le variazioni essenziali sono realizzate su immobili ricadenti in aree sottoposte a vincolo, sono considerate in totale difformità dal permesso di costruire, alla stregua dell’art. 31, con conseguenze ancora più restrittive e pesanti sotto il profilo sanzionatorio.
Ma, la notizia, per certi versi singolare, che emerge dalla decisione della Consiglio di Stato e che stravolge il pensiero comune su cui molti, privati e anche professionisti si adagiano: ovvero che la presenza del certificato di agibilità legittima lo stato dei luoghi anche se difforme al permesso di costruire o alla concessione edilizia maggiormente se si tratta di un ante 67’, è quella di dichiarare non sufficiente la presenza dell’agibilità (o abitabilità) per definire “legittimo” un abuso.
Questo perché, si evince dalla sentenza, il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche. Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità) non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili.
La presenza del certificato di agibilità non preclude al Comune la possibilità di verificare e contestare la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio anche se questo avvenisse dopo molto tempo. L’ordine di demolizione non è annullabile e tantomeno non si può richiedere al Comune di motivare la sua scelta e dimostrare che realmente persegue un interesse pubblico tantomeno il Comune non è chiamato a fare alcuna comparazione di peso, tra interesse pubblico e interesse privato, circa il mantenimento degli abusi, con l’ago della bilancia a favore di quello privato.
Questo perché, l’ordine di demolizione è per sua natura vincolato e rigidamente ancorato al ricorrere dei presupposti per i quali è obbligatorio che sia adottato, ossia la verifica dell’abusività dell’intervento, sia pure tardivamente e sia se il titolare attuale non sia il responsabile dell’abuso stesso. Emerge dalla sentenza che la conservazione di una situazione abusiva non può essere in alcun modo bypassata e di certo il tempo non può in alcun modo legittimare.
Il TAR giunge a questa conclusione motivandola con il fatto che: “era trascorso un lungo tempo dalla costruzione del fabbricato (era il 1966) e inoltre la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio della licenza di agibilità rilasciato nel 1969.”
Dato che da allora il Comune non aveva mai fatto verifiche e vista la presenza del certificato di agibilità e per di più che la realizzazione era antecedente al 1967, si sono creati i presupposti per generare nei proprietari la convinzione che il comune reputava legittima l’opera realizzata nonostante gli abusi fossero qualificabili come variazioni essenziali nondimeno realizzati su un immobile ricadente in zona soggetta a vincolo paesaggistico.
Lo stesso TAR definisce questa convinzione “buona fede” per cui il “comune avrebbe dovuto fornire una specifica motivazione sull’interesse pubblico al ripristino, considerato che la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio di agibilità”.
Ribalta del tutto, quanto deciso dal TAR in primo grado, il Consiglio di Stato, Sez.VI, con la sentenza n.8180 del 29 novembre 2019, dichiarando inammissibile la “deroga all’ingiunzione di demolizione “emessa ai sensi dell’art. 31 del dpr 380/2001, Testo unico per l’edilizia (TUE).
Il tempo rafforza il carattere abusivo
Irrilevante, ai fini dell’applicazione di suddetta norma, è il fattore tempo, poiché in base al comma 4 bis dell’art. 31 del TUE “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente” - dunque l’inerzia, da parte del comune, non può certamente generare un’aspettativa con valore giuridico facendo intendere applicabile un carattere “legittimo” ad un abuso.Anzi il decorso del tempo rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento (Consiglio di Stato, Sez. VI: sentenza 27 marzo 2017, n. 1386; sentenza 6 marzo 2017, n. 1060); Concetto che viene enfatizzato dall’art. 32 comma 3 del TUE, per il quale se le variazioni essenziali sono realizzate su immobili ricadenti in aree sottoposte a vincolo, sono considerate in totale difformità dal permesso di costruire, alla stregua dell’art. 31, con conseguenze ancora più restrittive e pesanti sotto il profilo sanzionatorio.
L’agibilità e il permesso di costruire hanno presupposti differenti
Ma, la notizia, per certi versi singolare, che emerge dalla decisione della Consiglio di Stato e che stravolge il pensiero comune su cui molti, privati e anche professionisti si adagiano: ovvero che la presenza del certificato di agibilità legittima lo stato dei luoghi anche se difforme al permesso di costruire o alla concessione edilizia maggiormente se si tratta di un ante 67’, è quella di dichiarare non sufficiente la presenza dell’agibilità (o abitabilità) per definire “legittimo” un abuso.Questo perché, si evince dalla sentenza, il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche. Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità) non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili.
Se verificata, l’ingiunzione di demolizione è inderogabile
La presenza del certificato di agibilità non preclude al Comune la possibilità di verificare e contestare la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio anche se questo avvenisse dopo molto tempo. L’ordine di demolizione non è annullabile e tantomeno non si può richiedere al Comune di motivare la sua scelta e dimostrare che realmente persegue un interesse pubblico tantomeno il Comune non è chiamato a fare alcuna comparazione di peso, tra interesse pubblico e interesse privato, circa il mantenimento degli abusi, con l’ago della bilancia a favore di quello privato.Questo perché, l’ordine di demolizione è per sua natura vincolato e rigidamente ancorato al ricorrere dei presupposti per i quali è obbligatorio che sia adottato, ossia la verifica dell’abusività dell’intervento, sia pure tardivamente e sia se il titolare attuale non sia il responsabile dell’abuso stesso. Emerge dalla sentenza che la conservazione di una situazione abusiva non può essere in alcun modo bypassata e di certo il tempo non può in alcun modo legittimare.