Tettoia abusiva e pergolato, il caso
Il Tar si è pronunciato sul contenzioso sorto tra due vicini di casa. Uno dei due aveva realizzato una tettoia senza alcun permesso. Era quindi stato condannato alla demolizione dell’opera.Tuttavia, previo accordo col Comune, aveva demolito solo una parte dell’opera e utilizzato la parte restante per la realizzazione di un pergolato, sul quale avrebbe installato dei pannelli fotovoltaici.
Secondo l’altro vicino, il responsabile dell’abuso non stava provvedendo a ripristinare lo stato dei luoghi nel modo corretto. Erano infatti rimasti in piedi alcuni pilastri e una trave. Per questo motivo, aveva presentato ricorso contro l’inerzia del Comune.
Tettoia abusiva e trasformazione in pergolato
I giudici hanno accertato che, prima di iniziare la demolizione, il responsabile dell’abuso aveva presentato una CILA per trasformare la tettoia in un pergolato destinato ad ospitare pannelli fotovoltaici. Il Comune, dopo aver richiesto una serie di integrazioni, ha acquisito la CILA e prescritto una distanza minima di 5 centimetri tra i pannelli fotovoltaici.Il Tar ha considerato regolare la realizzazione del pergolato, spiegando che tra i due vicini si era verificata una “divergenza di valutazioni al termine di un complesso procedimento amministrativo”.
I giudici hanno spiegato che “il mantenimento di alcuni pilastri e di qualche trave non è qualificabile come demolizione parziale, e tantomeno come demolizione apparente. Si tratta invece di una facoltà rimessa al proprietario, il quale, una volta reso chiaramente inservibile il manufatto esistente, può riutilizzarne i materiali per successive edificazioni, eventualmente lasciando al loro posto alcuni elementi che dovrebbero comunque essere riposizionati in modo identico”.
Il Tar ha aggiunto che “l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è soddisfatto quando tali opere siano state del tutto private della loro funzionalità e riconoscibilità, per sottrazione di elementi essenziali. Non è necessario, né conforme al principio di proporzionalità, che l’autore dell’abuso subisca un aggravio ulteriore, consistente nella radicale inutilizzabilità dei materiali del vecchio manufatto, qualora sia permesso ricostruire l’opera abusiva”.
Dal momento che l’autore dell’abuso aveva provveduto a rimuovere le opere non conformi, il manufatto è stato considerato in regola con il regolamento edilizio, che consente la realizzazione di pergolati e gazebo con una superficie massima di 16 metri quadri per ogni unità immobiliare, strutture leggere, coperture con materiali che ne garantiscano la permeabilità e libere su tutti i lati, o almeno su uno se posta in aderenza ai fabbricati.
Il ricorso è stato quindi respinto.