Sono alcune delle osservazioni che l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha inviato alla Commissione Ambiente del Senato che sta esaminando il ddl per la rigenerazione urbana.
L’INU chiede chiarimenti o ripensamenti su alcune disposizioni e passaggi specifici. Tra questi l’assegnazione alle Regioni del compito di riconoscere un incremento volumetrico rispetto all’esistente non superiore al 20% della volumetria originaria nei casi di demolizione e ricostruzione. Ciò a prescindere dal contesto degli edifici, dalla loro ubicazione, dalla loro densità urbanistica, dall’uso attuale e da altri aspetti urbanistici ed ambientali.
L’INU auspica che il disegno di legge desista dall’assegnare alle Regioni l’inopportuno compito ed affermi, semmai, la centralità del progetto urbano, lasciando ai Consigli comunali le decisioni in merito ai luoghi ed all’entità della eventuale incentivazione tramite l’aumento della capacità edificatoria.
Insieme con la maggior capacità edificatoria, anche la riduzione della contribuzione privata alla costruzione della città pubblica fino addirittura al 70% fa affidamento alla forza attivatrice della rendita fondiaria urbana. Anche in questo caso ciò avviene in modo aprioristico, senza verificare se le riduzioni proposte siano davvero necessarie per rendere fattibile l’investimento privato oppure siano regalo superfluo a scapito della qualità degli spazi pubblici.
Rigenerazione urbana, il parere dell’INU sul disegno di legge
Desta, inoltre, la perplessità dell’INU l’insieme delle disposizioni di dettaglio contenute negli articoli 10 e 11. Va innanzitutto detto che tali disposizioni fanno riferimento ad obiettivi (la priorità della rigenerazione urbana, il contrasto del consumo di suolo) e propongono attività (conoscenza delle previsioni urbanistiche non attuate, immobili non utilizzati, aree degradate, ecc.) di cui i piani urbanistici che oggi vengono redatti già si fanno carico, anche in ossequio ad apposite disposizioni di legge regionali.L’INU non condivide, pertanto, la richiesta che i Comuni si facciano carico di una lunga serie di adempimenti in via parallela o comunque scollegata dalla normale attività di pianificazione del territorio già disciplinata dalle leggi regionali. Si ritiene che sarebbe più utile indirizzare l’attività dei Comuni verso l’aggiornamento dei loro piani generali, quando obsoleti, ed il loro più frequente aggiornamento.
Poi l’INU segnala che l’introduzione dei Piani comunali di rigenerazione urbana come strumento di generale applicazione richiede un coordinamento nel sistema degli strumenti di governo del territorio, che non pare adeguatamente risolto dalla mera sovrapposizione del nuovo Piano su quello comunale generale e dalla mera giustapposizione ad altri strumenti di pianificazione, come ad esempio il Piano di recupero del patrimonio edilizio esistente.
Accanto ai rilievi e alle indicazioni, l’INU sottolinea alcuni pregi del disegno di legge. Tra questi: la programmazione di risorse finanziarie statali per la rigenerazione urbana su un periodo lungo (500 milioni l’anno per 20 anni); il raccordo tra la pianificazione della città e la fiscalità immobiliare statale e locale; l’integrazione della strategia di rigenerazione urbana con la strategia del contrasto del consumo di suolo e la sua proiezione verso la transizione energetica.
Fra i punti del ddl che l’INU ritiene rilevanti figura l’imposizione, alle Regioni inadempienti, di un termine per redigere i piani paesaggistici di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività culturali e per approvarli, e la previsione dell’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministero (art. 11, c. 3). Il termine dei sei mesi appare troppo breve per potere essere rispettato, e quindi andrà ragionevolmente riconsiderato.