
Comunità energetiche rinnovabili, una soluzione per produrre energia a km zero
RISPARMIO ENERGETICO
Comunità energetiche rinnovabili, una soluzione per produrre energia a km zero
INU: ‘il 4% di territorio coperto da fotovoltaico garantirebbe l’autosufficienza’. La nostra sopravvivenza richiede ‘una radicale modificazione consapevole del paesaggio’
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del 26/02/2024

31/10/2022 - Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) introdotte con il DL 162/2019, quando ancora non si rischiava di andare in crisi per la insufficienza energetica e i proibitivi costi d’acquisto, rappresentano una direzione per stimolare una pluralità di soggetti a mettersi assieme per dotarsi di impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.
Una idea che prefigura lo sviluppo di energia a chilometro zero e che, con i finanziamenti del PNRR può incidere sul raggiungimento della autonomia energetica; una dimensione progettuale locale, di quartiere, ma soprattutto di comunità, che bene si addice al concetto di prossimità, espressa da una dimensione urbana di vicinanza dei servizi a misura di abitante.
Se la strada indicata fa immaginare un grande interesse, per i benefici sociali, ambientali ed economici, sarà necessario rimuovere con decisione gli ostacoli per favorire l’aggregazione, l’accesso ai finanziamenti, l’individuazione degli spazi, (indistintamente pubblici e privati) e delle soluzioni progettuali.
La radicale riduzione dei consumi energetici superflui è certamente una direzione obbligata; ma senza produrre nuova energia pulita dovremmo rinunciare non solo al superfluo bensì intaccare i bisogni essenziali. Il nostro gesto di spingere un interruttore, che fa partire qualcosa, non è più così scontato; a quell’interruttore virtuale è associato il nostro modo di vivere, il nostro futuro, la scuola, il lavoro, la sanità, il divertimento, l’alimentazione, le relazioni.
Ad una limitazione dell’energia queste attività regrediscono e la società diventa più povera, arcaica. In un quadro realistico, la presenza dell’energia giusta e necessaria è una precondizione per qualunque attività; e l’attività di un singolo cittadino, che per ragioni esclusivamente personali installa qualche pannello fotovoltaico, per produrre anche solo 1Kw, svolge un’azione di pubblico interesse nazionale.
Il territorio italiano è particolarmente adatto a produrre energia, ad esempio, con il fotovoltaico, tanto che, per ipotesi, con il 4% di territorio coperto si garantirebbe l’autosufficienza energetica: tetti, parcheggi, aree asfaltate, spazi aperti di ogni tipo, sono, non solo ricerca di soluzioni, ma precisi temi progettuali, da incentivare.
Occorre prendere coscienza che la sopravvivenza di una società passa anche da una radicale modificazione consapevole del paesaggio, dentro e fuori la città. Questo è il punto dirimente che, in una scala di priorità va affrontato senza ambiguità.
Il tema è stato affrontato nel corso del convegno di Urbanpromo, tenutosi il 13 ottobre a Torino nella sede di Cascina Fossata.
“Il paesaggio prossimo futuro - ha affermato Enzo Scandurra, (Università Sapienza di Roma) nel ricordare che la transizione ecologica prevede che nel 2030 il 72% dell’energia elettrica dovrà provenire da fonti rinnovabili - sarà caratterizzato dall’abbandono delle energie fossili, dalla scomparsa delle ciminiere delle grandi fabbriche, da motori silenziosi che anziché produrre CO2 lasceranno sull’asfalto scie d’acqua (motori ad idrogeno). E da campi sterminati che da lontano sembrano laghi, ma che in realtà sono distese di fotovoltaici. E come nei paesaggi di don Chisciotte, nelle campagne si vedranno pale meccaniche sulle vette delle montagne sferzate dal vento”.
Quindi se vogliamo passare dalle poche decine di CER, attive sperimentalmente ora in Italia, a numeri con quattro zeri, non dobbiamo solo velocizzare i procedimenti (condizione imprescindibile con la necessità di un silenzio assenso più deciso) bensì è necessario immaginare un metodo valutativo che parta dalla volontà di approvare i progetti, tenendo conto della complessità in cui ci troviamo e di una visione proiettata al futuro.
Occorre che gli organi di tutela, le Regioni, i Comuni confidino che la soluzione per la realizzazione di questa enorme quantità di impianti di energie rinnovabili risiede nel progetto, abbandonando l’ideologia della conservazione a prescindere; evitando che l’approccio valutativo del progetto sia sempre quello di alterazione dell’esistente, da contrastare e nei casi risolutivi da occultare, minimizzare, subordinare.
Se il cambiamento climatico in atto, causato dalle emissioni di CO2 per l’utilizzo di fonti fossili, ci condurrà, che lo vogliamo o meno, ad una modifica del paesaggio, con una diversa vegetazione, altre coltivazioni agricole, diversi modellamenti del suolo, con macchie di territorio desertificato e siccitoso e altre costellate da una miriade di laghetti, il problema bisogna porselo proprio ora. Le fonti rinnovabili devono dare un contributo decisivo per salvare (nella sostanza) il paesaggio nelle sue componenti principali, accompagnandolo gradualmente ad una transizione sostenibile e programmata.
Contrastare il cambiamento climatico e produrre energia pulita (ad esempio con fotovoltaico) attraverso la diffusione delle Comunità energetiche rinnovabili, assolve alle esigenze ambientali, economiche e sociali; rallentare, negare, posticipare queste priorità, con le più svariate giustificazioni per fermare un processo evolutivo in atto (e che ci si ostina a non immaginarne le conseguenze estetiche/paesaggistiche) crea un evidente danno all’interesse pubblico generale.
L’interesse a supportare le CER, in questa fase iniziale, attraverso bandi, contributi, promozione e assistenza tecnica è stata ampiamente rappresentata all’interno del convegno di Torino da importanti attori nazionali fra cui: la Fondazione Compagnia di San Paolo, la Fondazione Cariplo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, la Banca Etica, la Fondazione con il Sud e infine l’ASVIS (Alleanza per lo sviluppo sostenibile) e l’Agenzia per l’energia del Friuli Venezia Giulia.
I bandi prevedevano un onere di gara in cui il concessionario doveva mettere a disposizione del territorio un contributo annuale di fondo energia che poteva essere utilizzato dalle associazioni no-profit che si erano uniti per autoconsumare collettivamente l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici. Per poter accedere al fondo, i cittadini residenti in uno dei quattro Comuni dovevano adottare quote minime da 1 kWp degli impianti realizzati per poter ricevere degli sconti direttamente nelle proprie bollette elettriche. Le quote di adozione venivano utilizzate dalle associazioni per fare attività didattica nelle scuole al fine di promuovere l’autoconsumo collettivo.
Il progetto risultava vincente per tutti: per il concessionario perché aveva vinto la sua gara di appalto, ma doveva restituire una parte del plus-valore dell’operazione al territorio come azione di Responsabilità Sociale d’Impresa, l’amministrazione pubblica perché aveva messo in sicurezza le bollette elettriche senza costi aggiuntivi, i cittadini che partecipavano all’adozione perché in questo modo ricevevano uno sconto nelle proprie bollette attraverso l’autoconsumo collettivo e la scuola perché usufruiva di moduli didattici a costo zero.
Nel 2015, tutte le associazioni di comunità solare locale si sono fuse in un unico soggetto chiamato Centro per le Comunità Solari Locali che oggi gestisce le piattaforme con dispositivi di facile installazione domestica per contabilizzare l’autoconsumo collettivo monitorando direttamente i contatori, sia di produzione fotovoltaica che di consumo.
La piattaforma tecnologica si estende su scala nazionale ed è suddivisa per territori comunali in cui i cittadini possono entrare iscrivendosi al Centro per le Comunità Solari e chiedendo di diventare soci energetici come prosumer, consumer o automobilisti elettrici attraverso i dispositivi per leggere i propri contatori di consumo e di produzione.
Qualsiasi cittadino si può iscrivere a una piattaforma di autoconsumo collettivo di comunità solare del suo territorio comunale con o senza impianto fotovoltaico e/o automobile elettrica; consumer e prosumer vedono le loro bollette ridursi di circa 300 euro ogni anno mentre gli automobilisti si muovono con soli 240 euro ogni anno. Il monitoraggio di tutta la piattaforma mostra una riduzione complessiva di emissioni annuali di oltre 230 tonnellate di anidride carbonica e una riduzione della povertà energetica di circa 30mila euro nelle bollette delle famiglie ogni anno”.
L’energia rinnovabile non è un segmento da trattare con le consuetudini procedimentali del passato; è una questione che attiene all’interesse nazionale e come tale va trattata. I comuni nell’ambito dei propri strumenti di programmazione possono fare molto e andare ben oltre il tanto discusso consumo zero di suolo, argomento tanto dibattuto quanto ampiamente derogato nella pratica.
Il nuovo traguardo deve essere il consumo zero di energia (da fonti fossili) individuando per tutti gli interventi (residenziali, produttivi, impiantistici) una sorta di bilancio in pareggio fatto di due soli numeri; quanta energia serve per fare funzionare un contenitore di attività e come garantire il suo approvvigionamento con le rinnovabili. Una sorta di precondizione già sperimentata per altre questioni di primario interesse; ad esempio, per realizzare un’abitazione devo dimostrare di avere un posto auto.
Con un opportuno sistema di incentivi (urbanistici, fiscali ed economici) e disincentivi (nel caso di bilancio per difetto) mettendo assieme le forze con le Comunità Energetiche, da incentivare al fine di avere una maggiore inerzia) si innescherà pian piano nella mentalità comune il grande valore dell’autoproduzione con fonti rinnovabili.
È evidente che la realizzazione delle CER necessita di aree, spazi aperti, coperture, che possono essere messi a disposizione, con facilità, anche dagli enti pubblici. Le occasioni che possono essere messe in campo dalle Comunità energetiche possono essere molteplici: agrivoltaico, ortovoltaico, verde pensile voltaico, invasi di laminazione delle acque, pergolati, tettoie, pensiline, facciate, parcheggi privati e pubblici ecc, sono suggestioni che preludono ad una fiducia nel progetto che condurrà ad una evolutiva visione del paesaggio urbano; ma soprattutto ogni tipo di copertura piccola o grande, inclinata o piana che sia e a qualunque uso destinata, dovrà essere trattata alla stregua di un dispositivo tecnologico per la produzione di energia rinnovabile, magari associata, quando è possibile al verde pensile.
Una idea che prefigura lo sviluppo di energia a chilometro zero e che, con i finanziamenti del PNRR può incidere sul raggiungimento della autonomia energetica; una dimensione progettuale locale, di quartiere, ma soprattutto di comunità, che bene si addice al concetto di prossimità, espressa da una dimensione urbana di vicinanza dei servizi a misura di abitante.
Se la strada indicata fa immaginare un grande interesse, per i benefici sociali, ambientali ed economici, sarà necessario rimuovere con decisione gli ostacoli per favorire l’aggregazione, l’accesso ai finanziamenti, l’individuazione degli spazi, (indistintamente pubblici e privati) e delle soluzioni progettuali.
La radicale riduzione dei consumi energetici superflui è certamente una direzione obbligata; ma senza produrre nuova energia pulita dovremmo rinunciare non solo al superfluo bensì intaccare i bisogni essenziali. Il nostro gesto di spingere un interruttore, che fa partire qualcosa, non è più così scontato; a quell’interruttore virtuale è associato il nostro modo di vivere, il nostro futuro, la scuola, il lavoro, la sanità, il divertimento, l’alimentazione, le relazioni.
Ad una limitazione dell’energia queste attività regrediscono e la società diventa più povera, arcaica. In un quadro realistico, la presenza dell’energia giusta e necessaria è una precondizione per qualunque attività; e l’attività di un singolo cittadino, che per ragioni esclusivamente personali installa qualche pannello fotovoltaico, per produrre anche solo 1Kw, svolge un’azione di pubblico interesse nazionale.
Il territorio italiano è particolarmente adatto a produrre energia, ad esempio, con il fotovoltaico, tanto che, per ipotesi, con il 4% di territorio coperto si garantirebbe l’autosufficienza energetica: tetti, parcheggi, aree asfaltate, spazi aperti di ogni tipo, sono, non solo ricerca di soluzioni, ma precisi temi progettuali, da incentivare.
Occorre prendere coscienza che la sopravvivenza di una società passa anche da una radicale modificazione consapevole del paesaggio, dentro e fuori la città. Questo è il punto dirimente che, in una scala di priorità va affrontato senza ambiguità.
Il tema è stato affrontato nel corso del convegno di Urbanpromo, tenutosi il 13 ottobre a Torino nella sede di Cascina Fossata.
“Il paesaggio prossimo futuro - ha affermato Enzo Scandurra, (Università Sapienza di Roma) nel ricordare che la transizione ecologica prevede che nel 2030 il 72% dell’energia elettrica dovrà provenire da fonti rinnovabili - sarà caratterizzato dall’abbandono delle energie fossili, dalla scomparsa delle ciminiere delle grandi fabbriche, da motori silenziosi che anziché produrre CO2 lasceranno sull’asfalto scie d’acqua (motori ad idrogeno). E da campi sterminati che da lontano sembrano laghi, ma che in realtà sono distese di fotovoltaici. E come nei paesaggi di don Chisciotte, nelle campagne si vedranno pale meccaniche sulle vette delle montagne sferzate dal vento”.
Quindi se vogliamo passare dalle poche decine di CER, attive sperimentalmente ora in Italia, a numeri con quattro zeri, non dobbiamo solo velocizzare i procedimenti (condizione imprescindibile con la necessità di un silenzio assenso più deciso) bensì è necessario immaginare un metodo valutativo che parta dalla volontà di approvare i progetti, tenendo conto della complessità in cui ci troviamo e di una visione proiettata al futuro.
Occorre che gli organi di tutela, le Regioni, i Comuni confidino che la soluzione per la realizzazione di questa enorme quantità di impianti di energie rinnovabili risiede nel progetto, abbandonando l’ideologia della conservazione a prescindere; evitando che l’approccio valutativo del progetto sia sempre quello di alterazione dell’esistente, da contrastare e nei casi risolutivi da occultare, minimizzare, subordinare.
Se il cambiamento climatico in atto, causato dalle emissioni di CO2 per l’utilizzo di fonti fossili, ci condurrà, che lo vogliamo o meno, ad una modifica del paesaggio, con una diversa vegetazione, altre coltivazioni agricole, diversi modellamenti del suolo, con macchie di territorio desertificato e siccitoso e altre costellate da una miriade di laghetti, il problema bisogna porselo proprio ora. Le fonti rinnovabili devono dare un contributo decisivo per salvare (nella sostanza) il paesaggio nelle sue componenti principali, accompagnandolo gradualmente ad una transizione sostenibile e programmata.
Contrastare il cambiamento climatico e produrre energia pulita (ad esempio con fotovoltaico) attraverso la diffusione delle Comunità energetiche rinnovabili, assolve alle esigenze ambientali, economiche e sociali; rallentare, negare, posticipare queste priorità, con le più svariate giustificazioni per fermare un processo evolutivo in atto (e che ci si ostina a non immaginarne le conseguenze estetiche/paesaggistiche) crea un evidente danno all’interesse pubblico generale.
L’interesse a supportare le CER, in questa fase iniziale, attraverso bandi, contributi, promozione e assistenza tecnica è stata ampiamente rappresentata all’interno del convegno di Torino da importanti attori nazionali fra cui: la Fondazione Compagnia di San Paolo, la Fondazione Cariplo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, la Banca Etica, la Fondazione con il Sud e infine l’ASVIS (Alleanza per lo sviluppo sostenibile) e l’Agenzia per l’energia del Friuli Venezia Giulia.
Comunità energetiche rinnovabili, il progetto pilota di Bologna
Una esperienza concreta di comunità energetica è stata illustrata da Leonardo Setti (UNIBO, fondatore delle comunità e citta solari); sono del 2010 le prime quattro comunità energetiche rinnovabili: “Attraverso un progetto regionale chiamato SIGE (Sistema Integrato per la Gestione dell’Energia), l’Università di Bologna coordinò la realizzazione di bandi pubblici per installare 2 MW di potenza fotovoltaica sui tetti degli edifici comunali di quattro Comuni dell’area metropolitana di Bologna (Medicina, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi e Zola Predosa).I bandi prevedevano un onere di gara in cui il concessionario doveva mettere a disposizione del territorio un contributo annuale di fondo energia che poteva essere utilizzato dalle associazioni no-profit che si erano uniti per autoconsumare collettivamente l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici. Per poter accedere al fondo, i cittadini residenti in uno dei quattro Comuni dovevano adottare quote minime da 1 kWp degli impianti realizzati per poter ricevere degli sconti direttamente nelle proprie bollette elettriche. Le quote di adozione venivano utilizzate dalle associazioni per fare attività didattica nelle scuole al fine di promuovere l’autoconsumo collettivo.
Il progetto risultava vincente per tutti: per il concessionario perché aveva vinto la sua gara di appalto, ma doveva restituire una parte del plus-valore dell’operazione al territorio come azione di Responsabilità Sociale d’Impresa, l’amministrazione pubblica perché aveva messo in sicurezza le bollette elettriche senza costi aggiuntivi, i cittadini che partecipavano all’adozione perché in questo modo ricevevano uno sconto nelle proprie bollette attraverso l’autoconsumo collettivo e la scuola perché usufruiva di moduli didattici a costo zero.
Nel 2015, tutte le associazioni di comunità solare locale si sono fuse in un unico soggetto chiamato Centro per le Comunità Solari Locali che oggi gestisce le piattaforme con dispositivi di facile installazione domestica per contabilizzare l’autoconsumo collettivo monitorando direttamente i contatori, sia di produzione fotovoltaica che di consumo.
La piattaforma tecnologica si estende su scala nazionale ed è suddivisa per territori comunali in cui i cittadini possono entrare iscrivendosi al Centro per le Comunità Solari e chiedendo di diventare soci energetici come prosumer, consumer o automobilisti elettrici attraverso i dispositivi per leggere i propri contatori di consumo e di produzione.
Qualsiasi cittadino si può iscrivere a una piattaforma di autoconsumo collettivo di comunità solare del suo territorio comunale con o senza impianto fotovoltaico e/o automobile elettrica; consumer e prosumer vedono le loro bollette ridursi di circa 300 euro ogni anno mentre gli automobilisti si muovono con soli 240 euro ogni anno. Il monitoraggio di tutta la piattaforma mostra una riduzione complessiva di emissioni annuali di oltre 230 tonnellate di anidride carbonica e una riduzione della povertà energetica di circa 30mila euro nelle bollette delle famiglie ogni anno”.
L’energia rinnovabile è una questione di interesse nazionale
Alla luce di queste esperienze una conclusione si può tentare: se l’energia è necessaria, (ed è la priorità assoluta) per fare funzionare la nostra società, è inderogabile, come già detto, che vengano in genere, valutati positivamente, con percorsi veloci, i nuovi impianti per le rinnovabili da parte dei vari attori a cui è riservato un controllo.L’energia rinnovabile non è un segmento da trattare con le consuetudini procedimentali del passato; è una questione che attiene all’interesse nazionale e come tale va trattata. I comuni nell’ambito dei propri strumenti di programmazione possono fare molto e andare ben oltre il tanto discusso consumo zero di suolo, argomento tanto dibattuto quanto ampiamente derogato nella pratica.
Il nuovo traguardo deve essere il consumo zero di energia (da fonti fossili) individuando per tutti gli interventi (residenziali, produttivi, impiantistici) una sorta di bilancio in pareggio fatto di due soli numeri; quanta energia serve per fare funzionare un contenitore di attività e come garantire il suo approvvigionamento con le rinnovabili. Una sorta di precondizione già sperimentata per altre questioni di primario interesse; ad esempio, per realizzare un’abitazione devo dimostrare di avere un posto auto.
Con un opportuno sistema di incentivi (urbanistici, fiscali ed economici) e disincentivi (nel caso di bilancio per difetto) mettendo assieme le forze con le Comunità Energetiche, da incentivare al fine di avere una maggiore inerzia) si innescherà pian piano nella mentalità comune il grande valore dell’autoproduzione con fonti rinnovabili.
È evidente che la realizzazione delle CER necessita di aree, spazi aperti, coperture, che possono essere messi a disposizione, con facilità, anche dagli enti pubblici. Le occasioni che possono essere messe in campo dalle Comunità energetiche possono essere molteplici: agrivoltaico, ortovoltaico, verde pensile voltaico, invasi di laminazione delle acque, pergolati, tettoie, pensiline, facciate, parcheggi privati e pubblici ecc, sono suggestioni che preludono ad una fiducia nel progetto che condurrà ad una evolutiva visione del paesaggio urbano; ma soprattutto ogni tipo di copertura piccola o grande, inclinata o piana che sia e a qualunque uso destinata, dovrà essere trattata alla stregua di un dispositivo tecnologico per la produzione di energia rinnovabile, magari associata, quando è possibile al verde pensile.