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Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico
di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente

Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico

Una Guida alla scelta del miglior investimento tenendo conto del payback time, del Valore Attuale Netto, dei flussi di cassa attualizzati

Vedi Aggiornamento del 26/07/2023
rawpixel © 123rf.com
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di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente
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25/11/2022 - Sul Superbonus al 110% si è discusso e scritto molto. E, inevitabilmente, molti sono i sostenitori, ma anche i detrattori di tale misura, sia nel mondo politico che in quello tecnico.
 
Una tra le principali critiche al Superbonus riguarda proprio l’aliquota al 110% che, a detta di molti, ha distolto l’attenzione di progettisti e committenti dagli aspetti economici, creando una situazione di scarsa concorrenzialità non solo tra le imprese, ma anche tra le tipologie di interventi da realizzare, a vantaggio, ovviamente, dei soli interventi incentivati.
 
Ora, la rimodulazione della misura e la riduzione dell’aliquota dovrebbero avere l’effetto di una maggiore attenzione alle spese e, quindi, di un ritorno a uno degli aspetti fondamentali, ovvero appunto la valutazione economica degli interventi di efficienza energetica.
 
Ne parliamo in questo articolo, cercando di illustrare come effettuare un’analisi economica robusta, evidenziando anche alcuni aspetti non così scontati. Molti professionisti del settore, infatti, sono spesso molto preparati sulla parte tecnica, ma meno su quella economica, con il rischio di trattare questa parte in modo superficiale e di non riuscire quindi a fornire al committente delle risposte corrette ed affidabili.
 
Innanzitutto, dobbiamo vedere le decisioni di efficientamento di un edificio come un investimento e, quindi, al pari di tutte le altre decisioni di investimento che chiunque di noi possa prendere. Chi svolge attività imprenditoriale o chi riveste certi ruoli manageriali in azienda sa benissimo di cosa parliamo: un investimento può essere definito come un qualsiasi esborso (impegno) di denaro (capitale) nell’immediato con l’obiettivo di ottenere un ritorno positivo in futuro. Chiaramente quando si parla di ritorni positivi si intende principalmente sotto l’aspetto economico, ma volendo potrebbero esserci altre tipologie di ritorno (di immagine, di carattere sociale o ambientale) più difficilmente quantificabili. Nella valutazione economica ovviamente si tende a valutare e quantificare gli aspetti economici.
 
Ma come valutare se un investimento è buono oppure no? E se vi fossero più alternative, come scegliere la migliore? Fortunatamente, la teoria in questo campo è ormai consolidata da decenni, così come gli strumenti e gli indicatori (a patto di saperli correttamente calcolare e interpretare).
 
Partiamo con il più semplice di tutti, ovvero il tempo di ritorno (payback time). Esso è definibile come il tempo necessario affinché i flussi di cassa (maggiori ricavi o minori costi) arrivino a ripagare l’investimento iniziale.
 
Facciamo subito un esempio attinente al nostro ambito: per un intervento di cambio di un generatore di calore si sostiene una spesa di 2.000 euro. A valle della sostituzione si stima un risparmio di 200 euro all’anno. Ciò vuol dire che l’intervento sarà ripagato in 10 anni. Dopo 10 anni e fino al termine della vita utile dell’investimento, ogni risparmio può essere inteso come un guadagno.
 
Ora, per essere ancora più precisi, quello che abbiamo calcolato è chiamato tempo di ritorno semplice (simple payback time) perché i risparmi attesi (o meglio, i flussi di cassa) non sono stati “attualizzati” (tra un attimo vedremo meglio anche questo concetto). Chiaramente il vantaggio di questo indicatore è la sua semplicità.
 
Tuttavia, vi sono anche dei rilevanti punti di debolezza di questo tipo di valutazione: il tempo di ritorno non valuta realmente ed effettivamente il valore economico dell’investimento e risulta conseguentemente difficile confrontare interventi che hanno vita utile differente.
 
Prendiamo due investimenti: con il primo si rientra in 5 anni e con il secondo in 8. Qual è il migliore? Non lo sappiamo, o meglio, sappiamo solo che il primo avrà un punto di rientro più a breve termine, il che può essere un’indicazione utile, ma non rappresenta un’analisi economica esaustiva.
 
Chiamiamo quindi in causa il secondo indicatore, che è forse il più conosciuto e anche quello fondamentale: il Valore Attuale Netto o VAN (in inglese NPV, Net Present Value). Come dice il nome stesso, questo indicatore esprime il valore, ad oggi, di una certa quantità di denaro investita.
 
Il valore attuale è calcolato come somma dei flussi di cassa netti (NCF, net cash flow) attualizzati, considerando quindi anche l’esborso iniziale per l’investimento e un eventuale recupero finale dalla dismissione (in genere per gli interventi di efficienza energetica quest’ultimo termine non è quasi mai presente). Anche chi non ha studiato economia avrà sicuramente visto la sua formulazione del NPV:

Formula1.png - Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico 
I criteri di scelta e di accettazione di un investimento utilizzando il NPV sono molto semplici: un investimento è accettabile solo se garantisce un NPV > 0 e, qualora vi fossero più alternative, è da preferire quella con NPV maggiore.
 
Vediamo ora di analizzare nel dettaglio tutte le componenti dell’equazione di cui sopra. Capire il significato dei vari termini è infatti fondamentale per calcolare e utilizzare al meglio questo indicatore.
 
Partiamo con l’aspetto temporale. Per il calcolo del NCF è infatti indispensabile stimare quella che è la vita utile dell’investimento, ovvero il tempo nel quali l’investimento sarà in grado di generare flussi di cassa.
 
Nell’ambito degli interventi di efficienza energetica occorre tener conto che in genere gli interventi “impiantistici” hanno una certa vita utile che può essere generalmente quantificata tra i 10 e i 20 anni.
 
Gli interventi sull’involucro, come ad esempio, l’isolamento delle strutture opache, hanno vita utile più lunga. In tal caso potremmo anche stimare tempi nell’ordine dei 30-50 anni, tenendo però bene a mente un aspetto: più l’orizzonte temporale è lungo è più aumenta il rischio di errori di stima (aumenta l’incertezza sulle altre variabili dell’equazione, ovvero i flussi di cassa e il tasso di sconto).
 
Sempre per quanto riguarda l’orizzonte temporale, convenzionalmente è indicato con t = 0 l’istante attuale e con t = T l’istante finale ovvero l’anno di dismissione (fine vita utile). L’istante iniziale è anche l’anno in cui tipicamente viene sostenuto l’investimento iniziale; quindi, esso sarà caratterizzato da un flusso di cassa ampiamente negativo. Dall’istante t = 1 l’investimento inizierà a produrre flussi di cassa positivi (si spera!) che dovranno essere attualizzati ovvero scontati come vedremo tra un attimo.
 
Per quanto riguarda i flussi di cassa (CF, cash flow) possiamo dire che essi rappresentano appunto il flusso generato dall’investimento in termini di maggiori ricavi o minori costi. L’aspetto fondamentale è che nella valutazione degli investimenti tali flussi devono essere calcolati in maniera “differenziale” rispetto ad una situazione in assenza di investimento oppure rispetto ad un “caso/scenario base”. Ci possono essere situazioni in cui ci si trova di fronte alla possibilità di scelta oppure situazioni in cui non esiste lo scenario “as-is” cioè lasciare tutto com’è.
 
Riprendendo l’esempio di prima, può capitare di valutare se sostituire o meno un generatore ancora funzionante, oppure può capitare di dover necessariamente sostituire un generatore che si sia guastato. Come abbiamo detto, in entrambi i casi, sono da considerare i flussi differenziali, ovvero quel che cambia tra gli scenari alternativi.
 
Negli interventi di efficienza energetica i flussi di cassa tipicamente sono costituiti da minori costi (risparmi economici, in bolletta, derivanti dall’intervento), ma ci sono dei casi in cui vi possono essere anche dei maggiori ricavi (ad esempio dalla vendita di energia di un impianto fotovoltaico).
 
Ma perché, nella classica formula riportata sopra, i flussi sono detti “netti”? Per essere precisi i flussi sono netti poiché vi possono anche essere esborsi finanziari (pagamento di interessi) legati all’investimento stesso. I flussi netti sono infatti calcolati come:
Formula2.png - Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico
Nella valutazione in contesti semplici, come potrebbero essere gli interventi di efficienza energetica in edifici di privati cittadini e senza ricorso a finanziamenti da parte di terzi, è anche possibile ignorare il termine Int (t). In contesti aziendali più complessi, chiaramente, l’analisi si complica, perché entrano in gioco altri effetti di bilancio (ammortamenti e accantonamenti, variazione di capitale circolante, variazione delle imposte, benefici fiscali del debito, cioè il cosiddetto scudo fiscale) che rendono più complessa la determinazione dei reali flussi di cassa differenziali dovuti all’investimento (impatto dell’investimento sul bilancio aziendale). Ma non è questa ovviamente la sede per addentrarci in una trattazione di questo tipo.
 
Per il nostro ambito di interesse, limitiamoci quindi a calcolare correttamente i flussi di cassa e successivamente ad “attualizzarli” utilizzando il denominatore della formula. L’attualizzazione è sostanzialmente un processo attraverso il quale si riporta ad un valore attuale un flusso di cassa futuro. Perché questo? È molto semplice: l’impiego di capitale ha un “costo” e, se vogliamo anche un “rischio” in termini di incertezza sull’andamento dei flussi di cassa futuri. Il denominatore della formula non fa quindi nient’altro che “scontare” tutto ciò, attraverso appunto un “tasso di sconto”.
 
La determinazione di tale tasso di sconto è un altro passaggio fondamentale nel calcolo del NPV. Anche in questo caso vi sono diversi possibili approcci. Un possibile criterio è prendere come riferimento il rendimento di un investimento di pari rischio. Nel caso di interventi di efficienza energetica, partendo dall’ipotesi di una certa sicurezza delle stime, si potrebbe prendere come tasso il rendimento di un bond governativo di durata pari a quella dell’investimento.
 
Di nuovo, se ci trovassimo in un contesto aziendale/imprenditoriale più complesso, esisterebbero tecniche più evolute, per tener conto in modo più preciso del “costo medio del capitale”. Citiamo quindi solamente il cosiddetto WACC, che è appunto il costo medio ponderato del capitale (weighted averange cost of capital) che tiene in considerazione il fatto che il capitale impiegato dall’impresa per l’investimento ha un costo che dipende dalla fonte (capitale di debito, D, debt, oppure capitale proprio, E, equity, dei soci o azionisti).
 
Ma esiste un modo per valutare gli investimenti evitando di determinare a priori il tasso di sconto “k”? Fortunatamente sì: si chiama IRR (Internal Rate of Return) ed è un altro indicatore che possiamo calcolare. In realtà tale calcolo è strettamente legato alla formula che abbiamo già visto. In pratica si tratta di risolvere l’equazione con incognita l’IRR (al posto di k) e ponendo il NPV = 0:
 Formula3.png - Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico 
 Tutto così semplice? Non proprio. Infatti, se da un lato il metodo dell’IRR ha il vantaggio di non dover determinare il tasso di sconto a priori, dall’altro occorre considerare che quella appena descritta risulta essere un’equazione polinomiale di grado “T” e che quindi può presentare T soluzioni, coincidenti o distinte, reali o complesse. Ovviamente, a livello economico e non algebrico, tutto ciò ha un significato solo se l’IRR è un valore unico e reale, caso che si verifica se e solo se vi è un solo cambiamento di segno nella funzione dei flussi di cassa.
 
In pratica il tutto funziona se ci troviamo in una situazione in cui c’è un investimento iniziale (CF negativo) succeduto da CF sempre positivi. Se questo accade, l’IRR ha significato: potremmo quindi confrontarlo con un rendimento di riferimento oppure, in presenza di più investimenti alternativi, scegliere l’investimento con IRR più elevato.
 
Guardando sempre l’equazione principale del NPV possiamo notare un’altra particolarità. Ponendo sempre NPV = 0 e risolvendo l’equazione con incognita il tempo “t” otteniamo il tempo di ritorno attualizzato, che in pratica è una versione più evoluta del tempo di ritorno semplice. Sostanzialmente è come se ricavassimo una “funzione di ripagamento” andando a sommare via via i flussi di cassa attualizzati e andando a vedere quando il valore cumulato e pari a 0, cioè l’istante in cui i flussi di cassa generati compensino totalmente l’esborso iniziale. Così come nella versione “semplice”, anche per il tempo di ritorno attualizzato rimane sempre il problema della determinazione di ciò che succede dopo tale istante.
 
Concludiamo questa lunga panoramica citando un ultimo indicatore, cioè il Profitability Index (PI), che non è nient’altro che il rapporto tra i flussi positivi e i flussi negativi dovuti all’investimento iniziale I (t) (nella generica ipotesi che l’investimento iniziale non sia concentrato interamente nell’istante t = 0).
Formula4.png - Efficienza energetica, come valutare gli interventi dal punto di vista economico
 Ovviamente l’investimento è un buon investimento se l’indice di profittabilità è maggiore di 1. In presenza di investimenti alternativi si sceglie quello con PI maggiore. Da un’analisi un po’ più approfondita di queste relazioni, è facile capire come la condizione PI > 1 sia equivalente alla condizione NPV > 0. Questo ci dice che, in pratica, non possono esistere contrasti (indicazioni discordanti) tra il criterio dell’NPV e l’utilizzo del PI: essi portano esattamente alle stesse conclusioni, evidenziando semplicemente due aspetti differenti: l’NPV calcola il valore assoluto, mentre il PI esprime un valore relativo (rapporto tra il ritorno e l’investimento).
 
Ma perché utilizzare più criteri o indicatori? In primo luogo, come abbiamo accennato, ciascun indicatore pone l’accento su un particolare aspetto della valutazione degli investimenti; quindi, è opportuno averli tutti in un “cruscotto” per avere un quadro chiaro degli scenari alternativi.
 
In secondo luogo, accenniamo al fatto che, in presenza di interventi alternativi caratterizzati da dimensione differente in termini di impegno di capitali, diversa distribuzione temporale dei flussi di cassa, diversa vita utile, potrebbero sorgere dei contrasti tra gli indicatori. In tal caso, quindi, occorre procedere con tecniche di risoluzione dei motivi di contrasto, che possono prevedere, ad esempio, l’introduzione di vincoli di budget o l’equiparazione della vita utile considerando le opportunità di reinvestimento dei flussi di cassa.
 
In ogni caso, quindi è sempre bene calcolare più di un indicatore per fornire ai committenti un quadro il più possibile esaustivo ed evidenziare eventuali situazioni particolari che necessitano di ulteriori approfondimenti.
 
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