28/12/2022 - In questo articolo parleremo dei sottosistemi di emissione e regolazione degli impianti di riscaldamento idronici, ovvero quelli che utilizzano l’acqua come fluido termo-vettore tra la generazione e l’emissione.
Vedremo quindi di fare una panoramica sulle principali caratteristiche dei terminali di emissione, illustrandone vantaggi e svantaggi e cercando di capire quali sono le strategie di regolazione e controllo più efficaci al fine di garantire il comfort e massimizzare l’efficienza.
Iniziamo con il classificare i terminali di emissione a seconda del principio fisico attraverso cui trasmettono calore all’ambiente. Esistono essenzialmente tre macro-famiglie:
- I terminali “statici”: radiatori, piastre radianti, tubi alettati.
- I terminali “ventilati”: aerotermi e ventilconvettori.
- I terminali “radianti”: pannelli radianti (a pavimento, soffitto o parete) e termostrisce.
I terminali statici trasmettono energia termica per convezione (naturale) e in parte per irraggiamento. I terminali ventilati trasmettono energia termica quasi totalmente per convezione, mentre i radianti per irraggiamento. Tra i terminali statici, i più diffusi sono sicuramente i radiatori. Essi sono spesso chiamati “termosifoni”, anche se tale termine è, ad oggi, improprio.
I termosifoni veri e propri erano i circuiti degli impianti di riscaldamento di una volta, nei quali si sfruttava appunto il fenomeno fisico del “termosifone”: creando un anello su un piano verticale e riscaldando l’acqua al suo interno (attraverso una caldaia posta al livello inferiore), l’acqua calda tende a salire (ai livelli superiori) per la diminuzione di densità; successivamente, raffreddandosi, l’acqua aumenta di densità e tende quindi a scendere dal lato opposto dell’anello, facendo ritorno in caldaia.
In passato questo principio era appunto sfruttato negli impianti di riscaldamento a circolazione naturale (soprattutto nei primissimi impianti di riscaldamento centralizzati condominiali). Oggi gli impianti sono invece a circolazione forzata, attraverso pompe che assicurano portate maggiori (con diametri anche minori) nonché la flessibilità di collocare il generatore di calore a qualunque quota (anche superiore a quella dei terminali).
Di radiatori ne esistono svariate tipologie e forme. Essi si differenziano soprattutto per il materiale di costruzione (ghisa, acciaio o alluminio). Quelli in ghisa, meno diffusi, sono caratterizzati da elevata inerzia termica e un’ottima resistenza alla corrosione. Tuttavia, il peso e il costo abbastanza elevati, uniti ad una maggiore difficoltà di regolazione, hanno fatto sì che questa tipologia venisse gradualmente abbandonata a favore delle altre tipologie.
I più diffusi attualmente sono, infatti, quelli alettati di alluminio, caratterizzati da elementi componibili, che sfruttano l’ottima conducibilità termica dell’alluminio e che sono disponibili a costi contenuti.
Passiamo ora ai terminali ventilati, che, come è facile intuire, sono caratterizzati dalla presenza di un dispositivo ventilante e che quindi cedono il calore proveniente da una batteria per convezione forzata. I più comuni sono i ventilconvettori (detti anche fan-coil). Oltre alla batteria e al ventilatore, i fan-coil sono generalmente provvisti di una vaschetta di raccolta di condensa e un minimo di regolazione (che solitamente permette di variare la velocità del ventilatore). I ventilconvettori più comuni sono quelli a parete, ma ne esistono anche modelli da installare a soffitto. Alcuni possono eventualmente essere anche canalizzabili.
Ultima tipologia che vedremo in questo articolo sono i pannelli radianti, che in realtà si utilizzavano già negli impianti condominiali fino agli anni Settanta. Tuttavia, questi impianti erano di tutt’altro tipo rispetto a quelli moderni. In quegli anni, infatti, si utilizzavano pannelli radianti ad alta temperatura, fatto che portava comunque a diversi problemi di comfort nonché di regolazione a causa dell’elevata inerzia termica.
Ad oggi, quando si parla di pannelli radianti, che siano essi a pavimento, parete o soffitto, si fa riferimento ad impianti a bassa temperatura. I pannelli a pavimento possono poi a loro volta essere annegati a massetto oppure di tipo a basso spessore. Cambia ovviamente il grado di inerzia termica in quando l’impianto coinvolge una massa differente della struttura. Sempre di tipo radiante sono le termostrisce, diffuse però in applicazioni particolari (generalmente grandi ambienti), diverse dal settore civile.
Occorre, a questo punto, per completezza nella trattazione, aprire una breve parentesi: gli impianti idronici non sono gli unici possibili, sia in ambito residenziale, sia in ambito non residenziale. Esistono ovviamente anche gli impianti aeraulici, che siano essi a tutt’aria o misti, e anche impianti di riscaldamento o raffrescamento “localizzati”. I classici esempi sono le stufe e i caminetti per il riscaldamento e i sistemi ad espansione diretta (cosiddetti “split”) per il raffrescamento.
In questo articolo, come accennato nelle prime righe, ci occuperemo solo di un confronto tra i sistemi di emissione degli impianti idronici, rimandando ad altro articolo l’esame di questi altri impianti citati.
Radiatori, ventilconvettori e pannelli radianti a confronto
Ritorniamo quindi al confronto tra radiatori, ventilconvettori e pannelli radianti. Come spesso accade, è compito del progettista scegliere la tipologia di terminali e l’impianto più adatto alla situazione e all’edificio. Negli ultimi anni la tendenza, soprattutto per i nuovi edifici, si sta spostando verso i pannelli radianti (accoppiati a pompe di calore). Questa è sicuramente una combinazione che può essere efficace, ma non è scontato che sia sempre così.
Vediamo di fare un breve ragionamento su quello che potrebbe essere il percorso logico che dovrebbe guidare il professionista nella scelta.
Come detto, innanzitutto occorre valutare il tipo di edificio ed in particolare il suo utilizzo. Una significativa discriminante è infatti l’occupazione, se discontinua o continua nel corso dell’anno e se continua o discontinua nel corso della giornata. Ci sono infatti diversi edifici caratterizzati da precisi orari di utilizzo giornalieri (uffici, scuole, cinema, teatri) e altri caratterizzati da un utilizzo solo in particolari giorni (ad esempio le case-vacanza).
Il profilo di utilizzo dell’edificio influenza la scelta dell’impianto poiché, chiaramente, l’obiettivo è garantire il comfort quando serve, ovvero quando l’edificio è occupato. In linea generale, possiamo dire che per gli edifici con occupazione continua, si può andare tranquillamente verso impianti “lenti” come i pannelli radianti.
Più l’occupazione è saltuaria durante la giornata (utilizzo per poche ore al giorno) e più ha senso prendere in considerazione radiatori e fan-coil. Anche per le case-vacanze, magari utilizzate solo nei week-end, i radiatori sono in genere da preferire, poiché con i sistemi a pannelli occorrerebbe prevederne l’accensione molto tempo prima dell’utilizzo.
Giusto per avere un ordine di grandezza, un impianto a radiatori è in grado di elevare la temperatura anche di 1-2 °C all’ora, mentre per gli impianti a pannelli, solitamente, si parla di qualche decimo di grado all’ora. Ovviamente in questo calcolo hanno influenza anche le dispersioni, aspetto che vedremo tra un attimo.
Preso atto del profilo di occupazione dell’edificio, il secondo step per un tecnico impiantista è quindi valutarne il grado di isolamento e anche l’inerzia termica delle strutture. Questo perché edifici con involucri molto performanti, non solo richiederanno complessivamente meno energia per il riscaldamento, ma avranno anche il vantaggio di raffreddarsi (o meglio, disperdere calore) meno velocemente. Una buona inerzia termica, invece, consentirà all’edificio di rispondere meno nervosamente alle sollecitazioni derivanti dagli apporti (non solo solari e interni, ma anche quelli generati dallo stesso impianto termico).
Ricordandoci sempre l’obiettivo di garantire il comfort, che per il servizio di riscaldamento significa mantenere una temperatura nell’intorno dei 20 °C, il progettista deve tener presente che le dispersioni influenzano la potenza che dovrà avere il sistema di emissione, mentre l’inerzia ne influenza la tipologia.
In linea generale, una maggiore inerzia dell’involucro consente la scelta di impianti più lenti a reagire, come i pannelli radianti annegati nelle strutture. Involucri più nervosi, invece, fanno propendere verso impianti più reattivi, come fan-coil e radiatori, oppure, ed è il caso di edifici molto vetrati, addirittura impianti ad aria.
Possiamo quindi concludere che in caso di occupazione continua o quasi-continua, in presenza di un involucro mediamente o ben isolato e in presenza di una buona inerzia termica, un impianto a pannelli è da preferire poiché permette di lavorare con temperature di progetto inferiori, fatto che massimizza i rendimenti di caldaie a condensazione e pompe di calore. Al fine di garantire temperature di mandata e ritorno basse, è anche possibile prevedere radiatori sovradimensionati; tuttavia, tale soluzione può avere degli svantaggi dal punto di vista degli ingombri all’interno dei locali e l’aumento dei moti convettivi dell’aria interna.
I fan-coil (ventilconvettori) possono rappresentare un compromesso tra radiatori e pannelli, con temperature medie che si possono aggirare nell’ordine dei 40-45 °C. A volte vengono proposti, in caso di riqualificazioni, in sostituzione dei radiatori; da tener presente però i possibili svantaggi, che sono una minima rumorosità e il consumo elettrico dei ventilatori.
Impianti di riscaldamento, la regolazione
Apriamo quindi il capitolo regolazione (e gestione). Come è facile intuire, la regolazione degli impianti in termini di ore di funzionamento e livelli di temperatura è strettamente legata alle caratteristiche dell’impianto. Indipendentemente però dalla tipologia di terminali, una regola generale per gli impianti più moderni con caldaie a condensazione e pompe di calore è cercare di far funzionale l’impianto in modo che potremmo definire “regolare”, nel senso di ricercare un’accensione il più possibile continua a potenze intermedie (che solitamente sono i regimi che massimizzano l’efficienza). Questo è sicuramente vero per gli impianti a pannelli, i quali comunque mal sopportano (o in ogni caso non riuscirebbero a seguire) le continue oscillazioni.
Attenzione quindi alla programmazione dei cronotermostati: un’attenuazione notturna è possibile, ma diciamo non oltre 0,5 °C di escursione tra la temperatura diurna e quella notturna. Maggiore è l’escursione e maggiore è anche l’anticipo con cui l’impianto a pannelli si deve accendere. Gli anticipi dipendono, come già accennato, dalle dispersioni, e quindi dalla stagione.
In generale è un qualcosa che l’utente medio è meglio che non continui a cambiare. In sintesi, con un impianto a pannelli, il profilo sul cronotermostato va mantenuto il più possibile piatto; è invece più opportuno, nell’eventualità che vi siano termostati per locale, regolare la temperatura desiderata ambiente per ambiente (ad esempio 21 °C nei bagni e in cucina, 20 °C in soggiorno e 19 °C nelle camere).
Con i radiatori, invece, è possibile una regolazione più fedele al profilo di occupazione, lasciando invece l’impianto spento nei periodi di assenza. Vi è però da dire che questo tipo di gestione può garantire un risparmio energetico apprezzabile solo in edifici molto disperdenti (nei quali la temperatura interna, con impianto spento, scende molto, riducendo quindi le dispersioni che, ricordiamo, sono direttamente proporzionali alla differenza di temperatura tra interno ed esterno).
Negli edifici molto isolati, invece, occorre considerare che le dispersioni per trasmissione sono già di per sé molto basse. In altre parole, anche spegnendo l’impianto, l’edificio si raffredderebbe molto lentamente, per cui, per poche ore di assenza, non cambia quasi nulla a livello di consumi. Altro discorso invece è l’assenza per qualche giorno o addirittura settimana. In questi casi un’attenuazione o spegnimento ha sicuramente senso, tenendo però presente quel che dicevamo prima, ovvero il tempo di ripresa necessario per riportare la temperatura al livello di comfort e anche alcune situazioni particolari legate al rischio gelo.
In conclusione, possiamo dire che questa rappresenta, in estrema sintesi, una disamina dei princìpi generali per una corretta regolazione degli impianti. Chiaramente ricordiamo che tutto ciò che in questo articolo è stato espresso a livello qualitativo, può anche essere opportunamente calcolato e quantificato. Esistono infatti diversi strumenti che permettono ormai di simulare i fabbisogni in regime dinamico-orario e quindi consentono di poter effettuare delle stime sui consumi a seconda di vari profili di utilizzo dell’edificio e funzionamento degli impianti.