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Città metropolitane, livello chiave per pianificare la transizione ecologica
di Francesco Domenico Moccia - segretario generale INU, Istituto Nazionale di Urbanistica

Città metropolitane, livello chiave per pianificare la transizione ecologica

I primi piani territoriali generali approvati si sono fatti interpreti eccellenti degli aspetti ecologici, ecosistemici e infrastrutturali

Vedi Aggiornamento del 25/09/2023
Città di Bologna - google.com/maps
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di Francesco Domenico Moccia - segretario generale INU, Istituto Nazionale di Urbanistica
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03/03/2023 - Tra gli strumenti di governo del territorio più nuovi c’è il Piano territoriale generale per le città metropolitane. Le prime elaborazioni sono molto interessanti e di seguito si presenteranno gli argomenti e le problematiche più rilevanti che possono suscitare l’interesse a conoscerlo ed utilizzarlo.
 
Il piano territoriale generale (PTG) è ancora uno sconosciuto. Delle 14 città metropolitane - dieci sul continente (Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria), tre in Sicilia (Messina, Catania, Palermo) ed una in Sardegna (Cagliari) - solo due lo hanno. Quello di Milano è del luglio 2021, quello di Bologna è stato approvato il 12 maggio 2021.
 
Istituito con la Legge 56 del 7 aprile 2014, tutte le altre, un poco alla volta, dovranno elaborarlo e metterlo in vigore finendo per interessare così una popolazione di poco meno di 22 milioni, pari a circa il 36% della popolazione nazionale, e 1268 comuni.
 
Per avere un’idea del ruolo che svolgono nella nazione, si pensi che nelle città metropolitane è prodotto oltre il 40% del valore aggiunto nazionale, si genera il 30% delle esportazioni italiane per un valore di 112 miliardi di euro, vi hanno sede 1,8 milioni di aziende pari al 35 % del totale italiano e il 56% delle aziende estere insediate nel nostro paese, vi operano il 31% delle imprese artigiane italiane e vi lavora il 35% degli occupati, pari a 7,9 milioni (fonte ANCI).
 
Le città metropolitane sono un gigante economico ed un nano amministrativo con un futuro ancora incerto e molte debolezze da superare che si riflettono sulla pianificazione territoriale e ne stanno condizionando il lento sviluppo. Come in una pentola che bolle, la scommessa è quando e quali energie si svilupperanno e che direzione prenderanno.
 
In un discorso tutto teso al futuro, si può immaginare che i PTG saranno tanto diversi come sono le relative città metropolitane, un insieme che include metropoli internazionali come Milano e Roma, ma anche grandi città di rilevanza regionale come Reggio Calabria o Cagliari con popolazioni che vanno da 4,2 milioni a 421.000.
 
Tuttavia, i primi esempi di PTG faranno da traino e le linee seguite, i metodi utilizzati tenderanno a riproporsi come un modello a cui inevitabilmente faranno da riferimento quelli che vengono dopo. D’altra parte, la pianificazione territoriale nel nostro Paese non gode di una lunga e consolidata tradizione, messa a confronto con l’urbanistica, ed il suo patrimonio è molto concentrato.
 
I tempi, però, gli sono più favorevoli: esaurita la crescita urbana, aumenta l’importanza del territorio non urbanizzato o forse meglio, della campagna urbanizzata, in ogni caso di una dimensione che travalica i confini comunali. A questa scala hanno operato le Province con i PTCP (piani territoriali di coordinamento provinciali) per poco più di due decadi, in maniera più diffusa ed intensiva rispetto agli episodici documenti regionali degli anni precedenti e quelli più sistematici ad essi contemporanei, ma di più ampia dimensione.
 
Facilitata dalla coincidenza delle città metropolitane con i perimetri delle precedenti province e con i loro apparati amministrativi, la pianificazione di coordinamento si prolunga in quella metropolitana, sebbene quest’ultima si sforzi di superarla. Per entrambe il nodo è il rapporto con i comuni, specialmente con il capoluogo il cui sindaco è anche sindaco metropolitano.
 
Ma tutta la governance della città metropolitana, concepita come ente di secondo livello, non risulta governata da una rappresentanza di cittadini ma da quella delle amministrazioni comunali. Queste si tengono strette le competenze di governo del territorio perlomeno nella parte più rilevante per la conformazione del suolo e richiedono una precisa caratterizzazione metropolitana alle materie da regolare e pianificare da parte del PTG.
 
Una via d’uscita l’avevano già trovata le province con l’enfasi sugli spazi aperti e certamente il punto forte dei PTCP si trovava nelle politiche di conservazione della natura e dell’agricoltura di pregio. È una radice su cui anche i primi PTG hanno prosperato e che, avendo queste solide basi ben diffuse in tutta la penisola, promette di essere il filone anche futuro della pianificazione metropolitana italiana. 

D’altra parte, il filone si è consolidato con l’obiettivo della transizione ecologica, al centro delle politiche europee e nazionali, come nel PNRR, un fondamentale passo avanti, in termini più attivi rispetto alla semplice tutela dei beni ambientali.

Per l’aspetto territoriale di questa politica, i due PTR approvati si sono fatti interpreti eccellenti dimostrando come molte delle sue questioni trovano, a livello metropolitano, la scala giusta per essere affrontati: corridoi ecologici, servizi ecosistemici, infrastrutture verdi e blu, drenaggio sostenibile, interventi in accordo con la natura, contenimento del consumo di suolo, invarianza idraulica, cambiamenti climatici.
 
Il pregio di affrontare questi temi in una visione territoriale costituisce un valore aggiunto rispetto all’attuale approccio settoriale. Esempio per tutte, l’acqua. Le ATO se ne occupano come acqua potabile, i Distretti idrografici come rischio alluvioni, idrogeologico, idraulico, i Consorzi come irrigazione dei fondi agricoli, le Provincie ne controllano le immissioni, la Regione monitora l’inquinamento, il MIC tutela il paesaggio fluviale. In aggiunta i corsi d’acqua sono utili per mitigare le isole di calore, sostenere i corridoi ecologici e le reti verdi, alimentare ecosistemi complessi. La difficoltà di coordinamento di enti di settore e territoriali in un progetto di territorio è la sfida maggiore del PTG.
 
Strettamente complementari a questi argomenti sono quelli per la mobilità perché un’altra partita decisiva si gioca sull’emissione dei gas climalteranti per effetto dei veicoli a combustione fossile, oltre all’impatto sulle risorse naturali non rinnovabili. Qui si punta sul trasferimento modale con strategie diverse. Una tra le più praticate è quella di incentivare la circolazione ciclabile fornendo la rete delle piste sempre più ampliata e sicura e aggiungendo altri servizi che vanno dal bike sharing alle stazioni di manutenzione e riparazione delle bici. In questo campo va anche crescendo un settore turistico con la sua specifica ricettività e ristorazione, grazie alle connessioni nazionali ed europee.
 
Più difficile è il trasferimento modale dal trasporto individuale dell’auto a quello collettivo del trasporto pubblico locale ma non si è mancato di coraggio nell’affrontarlo nella più difficile relazione con l’uso del suolo. In questi termini, la partita diventa molto ambiziosa perché coinvolge la distribuzione territoriale delle funzioni e la localizzazione dei servizi marciando verso modelli alternativi di metropoli policentriche, fondate sui nodi del trasporto pubblico di massa.
 
Attraverso questo discorso, il PTM entra in punta di piedi nell’urbano e nell’urbanistica dove, legittimamente va ad interessarsi di quelle funzioni che hanno consolidato un loro status metropolitano: la grande rete della distribuzione, la logistica, le aree industriali e per le attività produttive, i servizi alla scala delle aree omogenee.
 
I professionisti direttamente impegnati nella redazione dei PTG non saranno molto numerosi; molti invece saranno quelli che ne dovranno tenere conto nella redazione dei piani comunali quando indicazioni, direttive, prescrizioni dovranno essere osservate. C’è da avvertire anche che alcune di esse incidono direttamente perfino sugli interventi edilizi, per cui, prudentemente sarebbe sempre utile la loro consultazione.
 
Ma, indipendentemente dalla cogenza di questi atti, un pregio che ciascun ingegnere o architetto può apprezzare in ogni momento del suo lavoro è il grande sforzo che, perlomeno questi due esempi seminali hanno compiuto: tracciare un percorso per la transizione ecologica, raccogliendo le conoscenze internazionali più avanzate. Così si offrono come manuali di pratiche, esempi, suggerimenti la cui applicazione va molto oltre la pianificazione metropolitana in senso stretto.
 
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