
Cosa fare se il Comune chiede gli oneri di urbanizzazione per una demolizione?
NORMATIVA
Cosa fare se il Comune chiede gli oneri di urbanizzazione per una demolizione?
Come si sono espressi i giudici sui casi di un pagamento senza ricostruzione e di un cambio di regole durante i lavori
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del 19/07/2023

15/05/2023 - Gli oneri di urbanizzazione sono una delle voci di costo che, insieme al costo di costruzione, determinano l’importo del contributo da versare per il rilascio del permesso di costruire. L’importo degli oneri di urbanizzazione è determinato dal Comune, ma può anche essere oggetto di una convenzione, stipulata tra il costruttore e il Comune.
Ma gli oneri di urbanizzazione sono dovuti per ogni intervento che richiede il permesso di costruire, anche per una demolizione?
E cosa accade se le norme o gli strumenti urbanistici, che hanno costituito il riferimento per determinare gli oneri di urbanizzazione, cambiano o sono dichiarati nulli?
Il nuovo proprietario prima paga la somma richiesta per ottenere il rilascio del permesso di costruire, poi presenta ricorso al Tar lamentando che il permesso non autorizza una nuova costruzione.
Il Tar Lombardia, con la sentenza 986/2023, spiega che il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Questo perché, quando si costruisce un nuovo edificio, l’Amministrazione è tenuta a realizzare un surplus di opere di urbanizzazione.
Dato che l’intervento in questione prevede solo la demolizione, e non una nuova costruzione, il privato non riceve alcun beneficio dalle urbanizzazioni primarie e secondarie realizzate dal Comune, in quanto manca del tutto l'edificio che dovrebbe esserne servito.
Viene quindi meno, concludono i giudici, il presupposto del pagamento degli oneri di urbanizzazione, non essendovi alcuna incidenza qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.
In questo caso, il privato ha quindi ottenuto la restituzione delle somme inizialmente versate.
Nel 2012 il Comune approva una variante allo strumento urbanistico generale, con cui rimuove il vincolo alberghiero e subordina gli interventi di sostituzione edilizia alla cessione a titolo gratuito al Comune di una superficie non inferiore al 10% della superficie di pavimento, con possibilità di monetizzazione parametrata all’80%.
La società nel 2013 fa ricorso al Tar e successivamente stipula una convenzione urbanistica con cui, invece della cessione a titolo gratuito, si impegna a pagare una somma pari a circa 384mila euro. Il pagamento esonera la società dal rispetto degli standard urbanistici.
La convenzione riproduce la disciplina sulla monetizzazione contenuta nella variante, impugnata dalla società, contenente condizioni meno favorevoli rispetto a quelle ordinarie. Nonostante ciò, la società non impugna anche la convenzione, spiegando di essere convinta che, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole, avrebbe potuto avviare la rinegoziazione dell’accordo.
In effetti, dopo che il Tar ha accolto il ricorso e annullato la variante, la società propone al Comune di sostituire il pagamento delle somme ancora dovute, pari a circa 192mila euro, con la realizzazione di opere a scomputo.
Il Comune, però, rifiuta la proposta, sollecitando il pagamento della somma residua. La società presenta quindi un nuovo ricorso, chiedendo la dichiarazione della nullità della nota con cui il Comune ha sollecitato il pagamento, perché in contrasto con l’effetto derivante dall’annullamento della variante.
Con la sentenza 2996/2023, il Consiglio di Stato spiega che il contenuto della convenzione resta valido anche se, nel frattempo, le norme in base alle quali è stato stipulato sono state annullate.
Questo perché la convenzione urbanistica comporta una libera scelta imprenditoriale e rientra nell’ordinaria autonomia privata, che non contrasta con le norme imperative.
La società, si legge, può accettare il pagamento di oneri maggiori di quelli previsti dalla disciplina generale perché, in base al principio di autoresponsabilità, valuta la convenienza economica dell’operazione.
Una volta assunto l’impegno a corrispondere un importo, la somma è giuridicamente dovuta e la società resta obbligata al pagamento, senza potersi appellare al contrasto con eventuali norme imperative.
Ma gli oneri di urbanizzazione sono dovuti per ogni intervento che richiede il permesso di costruire, anche per una demolizione?
E cosa accade se le norme o gli strumenti urbanistici, che hanno costituito il riferimento per determinare gli oneri di urbanizzazione, cambiano o sono dichiarati nulli?
Oneri di urbanizzazione per opere di demolizione
Un caso interessante riguarda un Comune, che chiede il pagamento degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio del permesso di costruire per un intervento di demolizione di un abuso edilizio commesso dal precedente proprietario.Il nuovo proprietario prima paga la somma richiesta per ottenere il rilascio del permesso di costruire, poi presenta ricorso al Tar lamentando che il permesso non autorizza una nuova costruzione.
Il Tar Lombardia, con la sentenza 986/2023, spiega che il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Questo perché, quando si costruisce un nuovo edificio, l’Amministrazione è tenuta a realizzare un surplus di opere di urbanizzazione.
Dato che l’intervento in questione prevede solo la demolizione, e non una nuova costruzione, il privato non riceve alcun beneficio dalle urbanizzazioni primarie e secondarie realizzate dal Comune, in quanto manca del tutto l'edificio che dovrebbe esserne servito.
Viene quindi meno, concludono i giudici, il presupposto del pagamento degli oneri di urbanizzazione, non essendovi alcuna incidenza qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.
In questo caso, il privato ha quindi ottenuto la restituzione delle somme inizialmente versate.
Oneri di urbanizzazione e cambiamento delle norme, il caso
Un altro caso, prso in esame dalla giurisprudenza, riguarda una società, impegnata nella demolizione di un ex albergo di sua proprietà e nella ricostruzione dell’edificio con cambio di destinazione d’uso da alberghiero a residenziale.Nel 2012 il Comune approva una variante allo strumento urbanistico generale, con cui rimuove il vincolo alberghiero e subordina gli interventi di sostituzione edilizia alla cessione a titolo gratuito al Comune di una superficie non inferiore al 10% della superficie di pavimento, con possibilità di monetizzazione parametrata all’80%.
La società nel 2013 fa ricorso al Tar e successivamente stipula una convenzione urbanistica con cui, invece della cessione a titolo gratuito, si impegna a pagare una somma pari a circa 384mila euro. Il pagamento esonera la società dal rispetto degli standard urbanistici.
La convenzione riproduce la disciplina sulla monetizzazione contenuta nella variante, impugnata dalla società, contenente condizioni meno favorevoli rispetto a quelle ordinarie. Nonostante ciò, la società non impugna anche la convenzione, spiegando di essere convinta che, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole, avrebbe potuto avviare la rinegoziazione dell’accordo.
In effetti, dopo che il Tar ha accolto il ricorso e annullato la variante, la società propone al Comune di sostituire il pagamento delle somme ancora dovute, pari a circa 192mila euro, con la realizzazione di opere a scomputo.
Il Comune, però, rifiuta la proposta, sollecitando il pagamento della somma residua. La società presenta quindi un nuovo ricorso, chiedendo la dichiarazione della nullità della nota con cui il Comune ha sollecitato il pagamento, perché in contrasto con l’effetto derivante dall’annullamento della variante.
Cosa accade agli oneri di urbanizzazione se cambiano le norme
I giudici, in primo e secondo grado, respingono le richieste della società.Con la sentenza 2996/2023, il Consiglio di Stato spiega che il contenuto della convenzione resta valido anche se, nel frattempo, le norme in base alle quali è stato stipulato sono state annullate.
Questo perché la convenzione urbanistica comporta una libera scelta imprenditoriale e rientra nell’ordinaria autonomia privata, che non contrasta con le norme imperative.
La società, si legge, può accettare il pagamento di oneri maggiori di quelli previsti dalla disciplina generale perché, in base al principio di autoresponsabilità, valuta la convenienza economica dell’operazione.
Una volta assunto l’impegno a corrispondere un importo, la somma è giuridicamente dovuta e la società resta obbligata al pagamento, senza potersi appellare al contrasto con eventuali norme imperative.