26/07/2023 - La resistenza termica dei componenti dell’involucro attrae, giustamente, buona parte dell’attenzione dei progettisti. Ma se, da un lato, il fatto di minimizzare le dispersioni ha la sua importanza, dall’altro lato occorre non sottovalutare anche il ruolo della massa termica degli elementi dell’edificio, poiché essa può avere una certa influenza sulle prestazioni energetiche.
In questo articolo vedremo, quindi, di descrivere le principali grandezze in gioco e quali sono gli accorgimenti da adottare in fase di progettazione.
Iniziamo con il parlare della costante di tempo dell’edificio. Essa, indicata nelle formule con il simbolo τ (lettera greca “tau”), è il rapporto tra la capacità termica dell’edificio Cm (espressa in KJ/K) e il coefficiente globale di scambio termico Htr (espresso in W/K). Dimensionalmente è facile verificare come questo rapporto, cioè la costante di tempo, sia appunto espressa in unità di tempo, solitamente in ore [h], ricordandoci, nella conversione, il coefficiente 1 kWh = 3,6 MJ.
La costante di tempo è quindi un parametro che tiene conto sia della capacità termica (al numeratore), sia della resistenza termica dell’involucro e del coefficiente di dispersione per ventilazione (al denominatore). La costante di tempo è quindi direttamente proporzionale alla capacità termica e inversamente proporzionale alle dispersioni per trasmissione e ventilazione. In altre parole, possiamo dire che la costante di tempo misura la capacità dell’edificio di trattenere il calore.
In regime di riscaldamento invernale essa esprime quanto l’edificio sarà in grado di mantenere la temperatura a fronte, ad esempio, di uno spegnimento dell’impianto. In regime estivo, il concetto è analogo ma ribaltato, anche se, come vedremo tra un attimo, il regime estivo è un po’ più complicato da trattare per via di altre variabili che entrano in gioco.
Riprendendo la formula, possiamo quindi anche divertirci ad esplicitare tutte le variabili e a calcolare all’inverso come, data una certa costante di tempo, varierà la temperatura interna allo spegnimento degli impianti.
In linea generale, possiamo dire che avere una costante di tempo elevata è buona cosa. Per avere degli ordini di grandezza possiamo dire che gli edifici ben isolati in muratura arrivano anche a costanti di tempo di 150-200 ore. Per gli edifici non isolati e/o molto leggeri, la costante di tempo scende nel range di 50-100 ore. In termini pratici, tutto ciò si ripercuote fondamentalmente sul funzionamento e la gestione degli impianti (e quindi anche, a monte, sul loro dimensionamento in fase di progettazione).
In un edificio con una costante di tempo elevata, lo spegnimento dell’impianto per alcune ore non comporta alcun discomfort. Questo perché la temperatura interna si abbasserà di pochi decimi di grado: abbiamo quindi la possibilità di spegnere l’impianto nelle ore notturne e alzarci al mattino con una temperatura accettabile.
Ma perché spegnere (o comunque attenuare) l’impianto di riscaldamento? Per gli edifici nuovi, molto performanti e magari con un impianto radiante, non si dice sempre di lasciare 20 °C per tutte le 24 ore? Sì e no. Ci possono essere infatti delle ragioni per cui può esserci un’attenuazione. Ad esempio, consideriamo la possibilità che vi sia un impianto in pompa di calore abbinato a fotovoltaico. In tal caso, sarebbe più conveniente far funzionare la pompa di calore nelle ore diurne, con disponibilità di energia autoprodotta da impianto fotovoltaico. Insomma, una costante di tempo più elevata fornisce più flessibilità e possibilità di ottimizzazione del funzionamento dell’impianto.
Non solo: abbiamo accennato alla progettazione. Teniamo presente che più il fabbricato è “nervoso” (si raffredda o si riscalda velocemente) e più l’impianto dovrà essere reattivo e capace nel rispondere a tali sollecitazioni per garantire il comfort. Tutto ciò, in termini fisici, è quantificabile dal cosiddetto “fattore ripresa” e comporta potenza aggiuntiva in fase di dimensionamento. E dato che i Watt di potenza in più si pagano, in conclusione è bene evitare di progettare edifici con costanti di tempo troppo basse.
Tutto il ragionamento è stato fatto sul riscaldamento. Come abbiamo detto, sul raffrescamento il discorso è speculare, anche se, immaginando il giorno tipo estivo nel clima italiano, in regime estivo entrano in gioco altre variabili. A differenza dell’invernale, nei mesi caldi il comfort dipende molto anche dal livello di umidità, oltre che dalla temperatura. Inoltre, di notte vi sono solitamente delle ore in cui l’involucro si raffredda, poiché la temperatura dell’aria esterna è inferiore a quella interna. In ultimo, in virtù proprio di questa differenza negativa tra temperatura interna ed esterna, possono essere adottate delle tecniche di free-cooling oppure di aerazione naturale che possono essere efficaci nel raffrescamento degli ambienti. Insomma, la costante di tempo dell’edificio ha il suo ruolo, ma il funzionamento degli impianti di climatizzazione estiva è dettato anche da altre variabili.
In ogni caso, non si può ragionare sull’estivo senza citare un altro indicatore, che tra l’altro è utilizzato anche nelle verifiche di legge e riportato sull’attestato di prestazione energetica: stiamo parlando della trasmittanza termica periodica YIE. Iniziamo con il dire che essa si chiama trasmittanza non a caso: dimensionalmente, infatti, è anch’essa espressa in W/m2K. Tuttavia, mentre la trasmittanza “classica” U considera la sola conducibilità (o resistenza termica) dei vari strati costituenti l’elemento edilizio, nonché il loro spessore, la trasmittanza termica periodica tiene conto, oltre a ciò, anche del calore specifico e della densità dei materiali.
Ne deriva quindi un indicatore che esprime la capacità del componente edilizio di attenuare e sfasare le sollecitazioni termiche. Pensando alla forma di un’onda, lo sfasamento è uno shift “orizzontale” nel tempo (periodo); l’attenuazione è una riduzione dell’ampiezza d’onda. In particolare, anche lo stesso sfasamento può essere un parametro interessante da valutare in quanto esso esprime, in ore, il ritardo con cui si manifesta internamente il picco di calore esterno.
Riguardo la trasmittanza termica periodica, facendo un po’ di simulazioni, è possibile verificare come, in realtà, così come per la trasmittanza termica “classica”, un ruolo fondamentale è giocato dall’isolamento termico e quindi dalla resistenza termica dei componenti. In linea generale, possiamo dire che per edifici ben isolati, con isolamento esterno a cappotto, i valori di trasmittanza termica periodica saranno comunque molto ridotti, indipendentemente dalla massa.
Ciò, di fatto, conferma l’ipotesi che un involucro ad alte prestazioni ha anche e soprattutto la funzione di “disaccoppiare” l’interno dall’esterno, ovvero rendere resiliente l’edificio alle sollecitazioni esterne: i picchi di temperatura esterna vengono di molto smorzati, senza quindi grandi oscillazioni di temperatura interna. E non dimentichiamoci che un involucro di tale tipologia produce curve di carico che sono il sogno di qualsiasi impiantista, cioè l’avere carichi termici bassi e costanti.
Tutt’altra storia è quella degli edifici esistenti non isolati: in questi casi la trasmittanza termica periodica assume maggiore rilevanza nel determinare prestazioni e comfort degli edifici, soprattutto nel periodo estivo.
Fino a qui abbiamo analizzato il comportamento dei componenti opachi in risposta a sollecitazioni esterne, ovvero alle condizioni climatiche dell’ambiente esterno. Ma quando a variare sono le condizioni all’interno degli ambienti? Per meglio comprendere come si può comportare l’edificio possiamo utilizzare un altro parametro: la capacità termica areica interna periodica.
Così come gli altri parametri descritti finora, anch’essa tiene conto della massa dei componenti ma, questa volta, dando importanza agli strati più interni (verso gli ambienti climatizzati). Pensando soprattutto al regime estivo, può capitare infatti che un ruolo e un peso determinante siano costituiti dai carichi interni, costituiti dalla presenza di persone (il corpo umano disperde calore) e apparecchiature. Qualora questi carichi fossero intermittenti e molto variabili, avere una buona capacità termica interna consente di smorzare i picchi di potenza richiesti per il raffrescamento.
Diciamo che per gli edifici residenziali è raro che ciò avvenga; tuttavia, per alcune tipologie di edifici non residenziali, soprattutto per quelli caratterizzati da tassi di affollamento elevati, questo parametro assume una certa rilevanza.
In conclusione, tutti i parametri che abbiamo descritto, confermano un principio generale e quasi sempre valido: pensando alla stratigrafia dei componenti opachi dell’involucro, per garantire un buon comportamento dell’edificio in tutte le stagioni, è opportuno collocare i materiali più resistivi (gli isolanti) all’esterno e i materiali più capacitivi (con più massa) sugli strati interni.
Parlando di comportamento estivo e di comfort degli ambienti, occorrerebbe, per completare la trattazione, aprire una ampia parentesi sulla temperatura operante e sulle strategie di controllo degli apporti solari. Deleghiamo, tuttavia, questi argomenti ad un prossimo approfondimento.