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Equo compenso, Cni e Cnappc: nessun contrasto con Codice Appalti e norme europee
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Equo compenso, Cni e Cnappc: nessun contrasto con Codice Appalti e norme europee
Secondo i Tar è un principio inderogabile. Ingegneri e Architetti chiedono alle PA di adeguarsi e di non strumentalizzare i dubbi dell’Anac in attesa di un chiarimento ufficiale
07/05/2024 - I dubbi sull’equo compenso stanno mettendo in difficoltà i professionisti tecnici. Da una parte le perplessità espresse dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), con conseguente richiesta di chiarimenti urgenti, dall’altra le pronunce dei Tribunali Amministrativi, che ribadiscono l’obbligo di applicare le norme sull’equo compenso.
Propendono per l’interpretazione di un “equo compenso senza se e senza ma”, data dai Tar, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) e il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Cnappc), che sollecitano un intervento urgente.
Il CNI ricorda che per volontà della stessa presidente Meloni e con l’approvazione unanime di tutte le forze parlamentari è stata promulgata la legge sull’equo compenso (L. 49/2023), che finalmente ha restituito dignità e tutela ai professionisti italiani. Tale norma si esprime con grande semplicità e chiarezza:
- si applica alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione;
- stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo, e comunque inferiore ai parametri ministeriali, anche all'esito di un’eventuale gara.
Nonostante questo, si legge nella nota, il CNI è costretto a registrare prese di posizione incomprensibili in relazione all’errata applicazione della norma, che sovente viene disattesa negli affidamenti regolati dal Codice dei contratti pubblici.
Queste pratiche, lamenta il CNI, sono sempre più spesso promosse da talune Amministrazioni e da singole Associazioni di categoria. A loro sostegno diverse Amministrazioni invocano una serie di elementi ritenuti “ostativi”, quali:
- il principio comunitario della concorrenza;
- la specificità normativa del Codice, che dunque prevarrebbe rispetto alla Legge 49/2023;
- l’immodificabilità del Codice Appalti in assenza di esplicita previsione (in ragione dell’art. 227 dello stesso D.lgs. 36/2023), oppure il principio ratione temporis.
Ricordiamo che l’Anac in due situazioni ha messo in dubbio l’obbligo tassativo di applicare l’equo compenso. A marzo, fornendo un parere di precontenzioso, l’Anticorruzione ha concluso che le Stazioni Appaltanti, alla luce delle norme poco chiare vigenti, possono scegliere di non rispettare il principio dell’equo compenso.
Ad aprile, ribadendo la necessità di un chiarimento, l’Anac ha affermato che l’equo compenso non è obbligatorio per i servizi si ingegneria e architettura e che le gare a prezzo fisso non tutelano la concorrenza.
“Come se non bastasse - sottolinea il CNI - sempre più spesso si assiste ad inopportune e forzate interpretazioni di singoli stakeholder privati che, attraverso i propri organi di stampa, cercano di veicolare interpretazioni dei suddetti pronunciamenti ANAC, ben distanti dai reali contenuti”.
Bisogna infatti considerare che l’Anac ha fornito delle interpretazioni letterali delle norme in vigore e che ha chiesto più volte un intervento urgente sull’argomento per evitare contenziosi, l’allungamento dei tempi e l’aumento dei costi degli appalti.
Il Tar Veneto si è pronunciato sull’affidamento di un incarico di progettazione definitiva. Alcuni concorrenti hanno formulato offerte con un ribasso dei compensi, violando le norme sull’equo compenso. Nonostante la gara fosse stata bandita quando era in vigore il vecchio Codice Appalti (D.lgs. 50/2016), i giudici hanno fornito spiegazioni valide anche per il nuovo Codice (D.lgs. 36/2023). Il Tar ha affermato che non c’è nessun contrasto tra equo compenso e Codice Appalti e che le regole sull’equo compenso devono sempre essere rispettate.
Il Collegio, spiega il CNI, conclude con “la pacifica applicazione della L. 49/2023 ai pubblici affidamenti dei servizi di ingegneria ed architettura. Peraltro tale sentenza è perfettamente in linea con l’interpretazione che il CNI ha dato della norma fin da luglio 2023, attraverso un articolato e puntuale documento del proprio Centro Studi”.
Il Cnappc ha invece ripreso una pronuncia del Tar Lazio (sentenza 8580/2024), con cui i giudici hanno risolto il caso dell’affidamento del servizio di vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi da restituire in modalità BIM. La Stazione appaltante ha fissato il compenso a base di gara ai sensi del Decreto Parametri (DM 17 giugno 2016) e ha escluso il concorrente che ha presentato un ribasso sui compensi. Il Tar ha bocciato la condotta del concorrente e ha ribadito che le norme sull’equo compenso sono compatibili con il principio di concorrenza sancito dalle norme europee e con il Codice Appalti.
Il Cnappc, con un’altra nota, ha chiesto un chiarimento urgente e ha esortato le Stazioni Appaltanti ad uniformarsi a questo orientamento della giurisprudenza amministrativa.
“L’interpretazione che ha da subito reso il CNI, del tutto in linea con le due norme, consiste nel consentire la rideterminazione delle spese, a patto che resti comunque inviolato l’equo compenso. In tal senso gli operatori economici potranno “competere” solo sulla “qualità” e quindi potranno far valere in sede d’offerta la propria capacità tecnico-organizzativa ed efficienza, a tutto vantaggio della Stazione Appaltante.
“Detta interpretazione - continua il CNI - ben si sposa, oltre tutto, con il principio comunitario della concorrenza, dato che consente la ribassabilità del corrispettivo nel suo complesso, ponendo tuttavia un ragionevole limite ai ribassi, che nel recente passato sono stati utilizzati come leva per lo svilimento del lavoro di ogni singolo operatore economico impegnato nelle procedure ad evidenza pubblica. Ciò nonostante, il CNI ha registrato argomentazioni assolutamente errate e pretestuose quali, ad esempio, il fatto che l’Equo compenso penalizzerebbe i giovani professionisti o che provocherebbe un incremento della spesa pubblica per via dell’esplosione dei costi per la realizzazione delle opere”.
Il CNI ribadisce di non voler inasprire i toni del dibattito, motivo per il quale non ha intrapreso azioni giudiziarie, tuttavia è consapevole che una limitazione dell’applicazione dell’equo compenso nei contratti pubblici rappresenterebbe “una grave distonia del sistema foriera di evidenti disuguaglianze del regime corrispettivo da applicare ai professionisti intellettuali che si porrebbe in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione sull’uguaglianza sostanziale che non verrebbe garantita”.
Per questi motivi, il CNI ha chiesto un chiarimento urgente, ma anche la conferma della scelta fatta dall’Anac con il bando tipo 2/2023. In quella sede è già stata dimostrata la compatibilità tra equo compenso e Codice Appalti prevedendo un ribasso limitato alla componente per spese.
Ricordiamo che all'inizio di aprile sono stati annunciati i lavori per le norme di coordinamento tra equo compenso e Codice Appalti, ma al momento non si conoscono ulteriori dettagli.
Propendono per l’interpretazione di un “equo compenso senza se e senza ma”, data dai Tar, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) e il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Cnappc), che sollecitano un intervento urgente.
La legge sull’equo compenso, le interpretazioni e i dubbi
Il CNI, in una nota inviata a vari rappresentanti istituzionali, tra cui la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha chiesto di chiarire i criteri interpretativi che stanno mettendo in difficoltà i professionisti.Il CNI ricorda che per volontà della stessa presidente Meloni e con l’approvazione unanime di tutte le forze parlamentari è stata promulgata la legge sull’equo compenso (L. 49/2023), che finalmente ha restituito dignità e tutela ai professionisti italiani. Tale norma si esprime con grande semplicità e chiarezza:
- si applica alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione;
- stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo, e comunque inferiore ai parametri ministeriali, anche all'esito di un’eventuale gara.
Nonostante questo, si legge nella nota, il CNI è costretto a registrare prese di posizione incomprensibili in relazione all’errata applicazione della norma, che sovente viene disattesa negli affidamenti regolati dal Codice dei contratti pubblici.
Queste pratiche, lamenta il CNI, sono sempre più spesso promosse da talune Amministrazioni e da singole Associazioni di categoria. A loro sostegno diverse Amministrazioni invocano una serie di elementi ritenuti “ostativi”, quali:
- il principio comunitario della concorrenza;
- la specificità normativa del Codice, che dunque prevarrebbe rispetto alla Legge 49/2023;
- l’immodificabilità del Codice Appalti in assenza di esplicita previsione (in ragione dell’art. 227 dello stesso D.lgs. 36/2023), oppure il principio ratione temporis.
Ricordiamo che l’Anac in due situazioni ha messo in dubbio l’obbligo tassativo di applicare l’equo compenso. A marzo, fornendo un parere di precontenzioso, l’Anticorruzione ha concluso che le Stazioni Appaltanti, alla luce delle norme poco chiare vigenti, possono scegliere di non rispettare il principio dell’equo compenso.
Ad aprile, ribadendo la necessità di un chiarimento, l’Anac ha affermato che l’equo compenso non è obbligatorio per i servizi si ingegneria e architettura e che le gare a prezzo fisso non tutelano la concorrenza.
Equo compenso, cosa dice realmente l’Anac?
Il CNI sottolinea che l’80% degli Enti sostengono la disapplicazione dell’equo compenso fondando le loro motivazioni proprio sulle pronunce dell’Anac, “che al contrario non risulta essersi espressa esplicitamente in tale direzione”.“Come se non bastasse - sottolinea il CNI - sempre più spesso si assiste ad inopportune e forzate interpretazioni di singoli stakeholder privati che, attraverso i propri organi di stampa, cercano di veicolare interpretazioni dei suddetti pronunciamenti ANAC, ben distanti dai reali contenuti”.
Bisogna infatti considerare che l’Anac ha fornito delle interpretazioni letterali delle norme in vigore e che ha chiesto più volte un intervento urgente sull’argomento per evitare contenziosi, l’allungamento dei tempi e l’aumento dei costi degli appalti.
Contenziosi sull’equo compenso, per il Tar principio inderogabile
Il CNI lamenta che le interpretazioni degli enti che vorrebbero disapplicare l’equo compenso non si arrestano neanche di fronte alla sentenza 632/2024, con cui il Tar Veneto ha fornito un’interpretazione delle norme che regolano l’equo compenso e le gare di appalto.Il Tar Veneto si è pronunciato sull’affidamento di un incarico di progettazione definitiva. Alcuni concorrenti hanno formulato offerte con un ribasso dei compensi, violando le norme sull’equo compenso. Nonostante la gara fosse stata bandita quando era in vigore il vecchio Codice Appalti (D.lgs. 50/2016), i giudici hanno fornito spiegazioni valide anche per il nuovo Codice (D.lgs. 36/2023). Il Tar ha affermato che non c’è nessun contrasto tra equo compenso e Codice Appalti e che le regole sull’equo compenso devono sempre essere rispettate.
Il Collegio, spiega il CNI, conclude con “la pacifica applicazione della L. 49/2023 ai pubblici affidamenti dei servizi di ingegneria ed architettura. Peraltro tale sentenza è perfettamente in linea con l’interpretazione che il CNI ha dato della norma fin da luglio 2023, attraverso un articolato e puntuale documento del proprio Centro Studi”.
Il Cnappc ha invece ripreso una pronuncia del Tar Lazio (sentenza 8580/2024), con cui i giudici hanno risolto il caso dell’affidamento del servizio di vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi da restituire in modalità BIM. La Stazione appaltante ha fissato il compenso a base di gara ai sensi del Decreto Parametri (DM 17 giugno 2016) e ha escluso il concorrente che ha presentato un ribasso sui compensi. Il Tar ha bocciato la condotta del concorrente e ha ribadito che le norme sull’equo compenso sono compatibili con il principio di concorrenza sancito dalle norme europee e con il Codice Appalti.
Il Cnappc, con un’altra nota, ha chiesto un chiarimento urgente e ha esortato le Stazioni Appaltanti ad uniformarsi a questo orientamento della giurisprudenza amministrativa.
Equo compenso, Codice Appalti e concorrenza
Il CNI argomenta che “una lettura attenta del Codice dei contratti pubblici, così come progettato, suffraga pienamente l’applicazione dell’equo compenso, legittimandone esplicitamente l’introduzione, dal momento che lo stesso viene enunciato tra i principi cardine della normativa (art. 8). Lo stesso Codice, peraltro, prevede che talune procedure di affidamento possano essere aggiudicate mediante procedure comparative sulla base di un prezzo fisso, ove gli operatori economici competono solo in base a criteri qualitativi (art. 108, comma 5)”.“L’interpretazione che ha da subito reso il CNI, del tutto in linea con le due norme, consiste nel consentire la rideterminazione delle spese, a patto che resti comunque inviolato l’equo compenso. In tal senso gli operatori economici potranno “competere” solo sulla “qualità” e quindi potranno far valere in sede d’offerta la propria capacità tecnico-organizzativa ed efficienza, a tutto vantaggio della Stazione Appaltante.
“Detta interpretazione - continua il CNI - ben si sposa, oltre tutto, con il principio comunitario della concorrenza, dato che consente la ribassabilità del corrispettivo nel suo complesso, ponendo tuttavia un ragionevole limite ai ribassi, che nel recente passato sono stati utilizzati come leva per lo svilimento del lavoro di ogni singolo operatore economico impegnato nelle procedure ad evidenza pubblica. Ciò nonostante, il CNI ha registrato argomentazioni assolutamente errate e pretestuose quali, ad esempio, il fatto che l’Equo compenso penalizzerebbe i giovani professionisti o che provocherebbe un incremento della spesa pubblica per via dell’esplosione dei costi per la realizzazione delle opere”.
Il CNI ribadisce di non voler inasprire i toni del dibattito, motivo per il quale non ha intrapreso azioni giudiziarie, tuttavia è consapevole che una limitazione dell’applicazione dell’equo compenso nei contratti pubblici rappresenterebbe “una grave distonia del sistema foriera di evidenti disuguaglianze del regime corrispettivo da applicare ai professionisti intellettuali che si porrebbe in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione sull’uguaglianza sostanziale che non verrebbe garantita”.
Per questi motivi, il CNI ha chiesto un chiarimento urgente, ma anche la conferma della scelta fatta dall’Anac con il bando tipo 2/2023. In quella sede è già stata dimostrata la compatibilità tra equo compenso e Codice Appalti prevedendo un ribasso limitato alla componente per spese.
Ricordiamo che all'inizio di aprile sono stati annunciati i lavori per le norme di coordinamento tra equo compenso e Codice Appalti, ma al momento non si conoscono ulteriori dettagli.