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Pianificazione portuale, allo studio le nuove Linee Guida
di Rosario Pavia - responsabile Community ‘Porti città territori’ di INU

Pianificazione portuale, allo studio le nuove Linee Guida

Daranno coerenza, chiarezza interpretativa, elementi conoscitivi, criteri di valutazione e indirizzi di metodo per la formazione degli strumenti di piano

Pianificazione portuale, allo studio le nuove Linee Guida - Foto: dashu83 123rf.com
Pianificazione portuale, allo studio le nuove Linee Guida - Foto: dashu83 123rf.com
di Rosario Pavia - responsabile Community ‘Porti città territori’ di INU
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08/01/2025 - Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici è al lavoro sul terzo aggiornamento delle Linee guida per la redazione dei piani regolatori di sistema. Il secondo si attuò in seguito al DL 169/2016, quando furono istituite 15 (poi 16) Autorità di Sistema Portuale (AdSP).
 
La condizione attuale del porto è ora quello di nodo logistico di un territorio vasto. La pianificazione è articolata su due livelli: un Documento di Programmazione Strategica di Sistema (DPSS), non assoggettato alla procedura VAS, e un livello locale.
 
Il DPSS, trattando delle interazioni tra porto e città, entra direttamente nell’ambito della dimensione urbanistica e edilizia. Ma le opportunità offerte da questa dimensione non vengono ancora colte appieno, per una sostanziale e reciproca incapacità di Autorità portuali e politiche urbanistiche di attuare una pianificazione condivisa.
 
L’ultimo provvedimento organico in materia, il DL 121/2021, ha riformato nel profondo la pianificazione portuale agendo con semplificazioni che toccano direttamente il Titolo V della Costituzione. Il provvedimento conferma il ruolo strategico del DPSS che viene promosso e adottato dall’Autorità Portuale, la cui approvazione è di competenza del Ministero delle Infrastrutture che si esprime sentita la Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità.
 
Risulta evidente che è in atto un processo di centralizzazione delle politiche portuali e infrastrutturali, ma questo avviene senza un quadro di riferimento nazionale certo: l’ultimo piano di trasporti è del 2001 e il tentativo di delineare un piano della portualità si è bloccato nel 2017. Manca un piano nazionale delle reti infrastrutturali in grado di dialogare con le reti ambientali paesaggistiche e insediative, manca una visione territoriale di Paese.
 
I DPSS, che coinvolgono le reti infrastrutturali, logistiche, produttive, insediative di vasti territori avanzano in sordina, sotto silenzio. Non c’è copianificazione, non c’è integrazione e, soprattutto, manca coesione e consapevolezza tra le parti.
 
Il DPSS costituisce in ogni caso un passaggio importante del processo di pianificazione e dovrebbe essere riproposto come dispositivo di raccordo transcalare tra la dimensione nazionale europea e quella regionale e locale, come documento politico e tecnico per una pianificazione condivisa di area vasta.
 
Il DPSS partendo dal telaio infrastrutturale avrebbe potuto traguardare anche le dimensioni ambientali, paesaggistiche e insediative. In questa direzione il sistema di formazione del DPSS dovrebbe essere rivisto completamente attraverso patti o intese di copianificazione più stringenti ed efficaci.
 
I piani regolatori portuali locali sviluppano le scelte del DPSS, incentrandosi sulle aree operative del porto e lasciando ai comuni la pianificazione delle aree di interazione porto città. La loro approvazione non spetta più alla Regioni, ma alle Autorità Portuali.
 
A ben vedere il ricorso ai Piani Regolatori portuali e alle loro varianti è divenuto negli ultimi anni oggettivamente poco frequente. Si ricorre, invece, in misura intensiva allo strumento dell’Adeguamento Tecnico Funzionale (ATF), la cui procedura è stata introdotta Con il Voto di indirizzo n. 93/2009 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
 
Si tratta di una misura per semplificare l’approvazione di modifiche che non alterano in modo sostanziale la struttura del piano regolatore portuale vigente. Il ricorso all’ATF dopo Il DL 121/2021 (che assegna la loro approvazione alle Regioni, previo parere positivo del Consiglio Superiore dei LLPP) è divenuto una costante. Segno che la struttura dei porti resta nella sostanza quella esistente e che questa, come avviene del resto nella città, ha bisogno di opere di adattamento, di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione.
 
Si ricorre all’ATF di continuo, anche forzando la sua definizione normativa che ne limita l’impiego solo nei casi di modificazioni non sostanziali. In prospettiva è proponibile regolamentare l’ATF, riservandolo alle aree portuali consolidate in cui prevedere opere di trasformazione non sostanziali. Queste, se rientrano in una casistica tipizzata, dovrebbero avere una verifica più speditiva da parte del Consiglio dei LLPP.
 
Le nuove Linee Guida in corso di redazione si collocano in questo contesto. Il loro compito è dare coerenza, chiarezza interpretativa, elementi conoscitivi, criteri di valutazione e indirizzi di metodo per la formazione degli strumenti di piano (in particolare del DPSS che è in definitiva l’unico elemento innovativo del sistema pianificatorio e su cui non c’erano stati approfondimenti adeguati).
 
Le nuove Linee Guida dovranno confrontarsi anche della Sentenza della Corte costituzionale n.6/2023. La sentenza ha confermato l’interesse preminente dello Stato nella pianificazione portuale, ritenendo adeguato il coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali attraverso la conferenza dei servizi e la richiesta dei pareri.
 
La sentenza ha tuttavia raccomandato di tenere conto che:
 
- Il principio di leale collaborazione impone, in primo luogo, che l’AdSP accompagni il DPSS redatto con un documento esplicativo. Diversamente, per i ristretti termini assegnati alle valutazioni e per la complessità di queste anche sul piano tecnico, regioni e comuni non sarebbero posti nella condizione di esprimersi con la dovuta consapevolezza.
 
- Fondata è anche la censura volta a lamentare l’assenza di un idoneo strumento collaborativo nel procedimento di approvazione del DPSS.
 
C’è un invito esplicito a trovare forme di intesa e di dialogo.
 
Il punto è se le nuove Linee riusciranno a promuovere forme di collaborazione tra Autorità Portuali ed Enti locali, in un contesto in cui sembra prevalere la ricerca di maggiore autonomia da entrambi le parti. L’orientamento attuale è di attestarsi sulle norme, a non modificare l’ordine giuridico acquisito, a chiarire gli ambiti di competenza e gli iter procedurali metodologici nella formazione dei piani, definendone fasi, passaggi operativi terminologie (come, ad esempio, ambito portuale e ambito del PRP. Non ci saranno innovazioni. Nonostante l’impegno è difficile che possano riuscire a semplificare, contenere ridurre i tempi di formazione e approvazione dei piani.
 
Il limite del sistema portuale italiano è che stenta ad assumere un ruolo di infrastruttura di servizio per l’Europa, rimanendo in un confine che è sostanzialmente nazionale. Segno che c’è un ritardo, una difficoltà ad adeguarsi in tempi ragionevoli alle esigenze del mercato; che c’è uno scarto tra la staticità del piano, con i suoi tempi lunghi di approvazione e la dinamica delle trasformazioni del settore marittimo.
 
Quest’ultimo, va ricordato, ha una dimensione globale e andamenti congiunturali estremamente variabili, legati alle condizioni geopolitiche e alle scelte di cartelli armatoriali internazionali. La crisi del trasporto marittimo nel canale di Suez in seguito alle guerre nel Medio Oriente, lo dimostra ampiamente e dovrebbe far riflettere sul futuro ruolo della portualità nazionale in un Mediterraneo che rischia di vedere ridotta la sua centralità strategica.
 
A differenza dei grandi porti europei che hanno potuto via via delocalizzarsi, dismettendo le aree portuali in prossimità del centro abitato, in Italia i porti sono rimasti all’interno del sistema urbano, spesso in adiacenza alla città storica. Questa condizione è alla radice del difficile rapporto tra pianificazione portuale e pianificazione urbanistica.
 
Le due pianificazioni, nonostante il proposito iniziale di trovare una intesa tra le parti e la raccomandazione del “non contrasto”, restano processi sostanzialmente separate, impedendo una visione d’insieme in cui far interagire e integrare una pluralità di fattori: le strategie di sviluppo del porto operativo, le politiche di riqualificazione urbana, le azioni per la gestione delle coste, per la tutela ambientale e l’adattamento al cambiamento climatico.
 
La separazione delle pianificazioni si traduce in una separazione fisica tra porto e città, che resta un tema progettuale complesso, affrontato in una molteplicità di proposte di intervento nelle aree di waterfront e di interazione porto città. Queste ultime richiedono un’analisi specifica finalizzata ad individuare l’interesse preminente del porto o della città.
 
Le nuove Linee Guida dovrebbero assumere la specificità dei porti italiani come condizione strutturale, non eludibile, ma che può trasformarsi da vincolo a risorsa. In questa prospettiva la questione ambientale diventa determinante. L’integrazione tra il sistema portuale e quello urbano va oggi affrontata non solo sul piano delle relazioni spaziali e urbanistiche, ma anche sul terreno delle relazioni ecologiche. La qualità ambientale del porto incide su quella urbana: da qui l’obiettivo di intervenire nei porti sulle emissioni climalteranti, sulla qualità dell’aria e delle acque, sullo smaltimento dei rifiuti, sulle isole di calore e sull’inquinamento acustico.
 
Ci sono alcuni punti fermi. La Sentenza della Corte costituzionale n.6/2023 ha sottolineato la rilevanza statale del PRP che “rappresenta l'unico strumento di pianificazione e di governo del territorio nel proprio perimetro di competenza”. Nello stesso tempo è ormai acquisita la ripartizione delle competenze tra Autorità Portuale di Sistema e Comune: all’APdS la pianificazione delle aree operative del porto (comprensive delle aree retroportuali e dell’ultimo miglio), all’ente locale la pianificazione delle aree di interazione porto città.
 
Tutto questo porta a riconoscere che il porto operativo (individuato dal DPSS) è l’ambito di un piano di settore. Il nodo della pianificazione portuale sta proprio in questo: inserire la settorialità e la specializzazione delle attività portuali in un quadro di governo complessivo del territorio.
 
Lo strumento che può conferire alla settorialità del porto operativo un posizionamento organico e strategico nella complessa realtà ambientale e di sviluppo di un territorio vasto è il DPSS. È in questa sede che va delineata la strategia di sviluppo del porto e delle sue reti infrastrutturali, in coerenza con le scelte del governo nazionale (e le esigenze del sistema insediativo e ambientale locale.
 
Il DPSS può divenire lo snodo più importante del processo di pianificazione. Occorre rafforzarne la dimensione strategica, aprirla alle tematiche ambientali, urbanistiche, dello sviluppo sostenibile. La procedura VAS è inevitabile, fa parte integrante di qualsiasi azione strategica (piano, progetto o programma) che abbia effetti sull’ambiente e sul patrimonio culturale.
 
Il DPSS diventerà più impegnativo, richiederà più dialogo, più concertazione, più disponibilità al confronto e alla copianificazione. I risultati non mancheranno: il DPSS definirà le scelte strategiche di fondo, l’ambito del PRP con le aree retroportuali, le aree di interazione porto città, le opere infrastrutturali significative. Espletata la procedura VAS con il parere motivato, le fasi successive, risulteranno semplificate. il piano portuale si qualificherà come piano di settore e programma di opere da sottoporre a VIA.
 
Mentre al DPSS è affidata la dimensione strategica della pianificazione portuale, la dimensione operativa e regolativa è propria del PRP. Si realizza in tal modo un chiarimento di fondo, definita la strategia, il piano operativo del porto potrà sviluppare con maggiore efficienza, autonomia e capacità gestionale il suo mandato imprenditoriale.
 
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