16/04/2025 - Cosa significa davvero “ristrutturazione edilizia”? Negli ultimi vent’anni, questa espressione ha subito un’evoluzione così profonda da cambiare radicalmente senso, trasformandosi in un’etichetta sempre più ambigua, usata per interventi che poco hanno a che fare con il suo significato originario. A colpi di modifiche normative, interpretazioni forzate e provvedimenti d’emergenza, si è assistito a una vera e propria metamorfosi del concetto. Ma quali sono le conseguenze di questo cambiamento? E cosa c’entra tutto questo con la rigenerazione urbana?
Ristrutturazione edilizia e rigenerazione urbana
Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono «rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica».
Così recitava, all’origine, nel 2001, la definizione del Dpr 380 (art. 3, c. 1, lettera d), nel tentativo - da ‘Testo Unico’ - di rimuovere ambiguità, incertezze, divergenze relative agli interventi edilizi, per come ereditati fin dalla legge 457/1978 e poi localmente declinati.
Senonché, quasi immediatamente, si apre per la ‘ristrutturazione edilizia’ una lunga stagione di modifiche che di quella definizione produrrà la più completa metamorfosi - una vera mutazione - svuotando l’espressione di ogni suo significato autentico.
A questo proposito, la prima osservazione che può farsi in margine al ‘caso Milano’ - e al ventilato provvedimento in suo ‘soccorso’, il cosiddetto ‘Salva Milano’, prima invocato dalla sua amministrazione, poi ripudiato, ora procrastinato in una condizione incerta di sospensione - è che per una materia fondata sulla parola - quale il diritto è - l’uso spregiudicato di quest’ultima nella scrittura della norma, fino al tradimento del senso, non può che rendere probabile l’incidente - che infatti si è determinato.
Il senso comune vorrebbe - e così il Testo Unico originario - che un ‘immobile’ oggetto di ristrutturazione edilizia, anche della più radicale, non possa spostarsi da dove sta (sedime), non possa assumere altra conformazione (sagoma) e non possa incrementarsi nelle dimensioni (volume), perché altrimenti si tratterebbe di un tipo di intervento differente - un ampliamento - costituente diversa fattispecie, che il Testo unico collocava, infatti, alla successiva lettera ‘e’ (interventi di nuova costruzione - punto e.1: “ampliamento [di manufatti edilizi] esistenti all’esterno della sagoma esistente”).
La sostituzione edilizia definita ristrutturazione edilizia
La metamorfosi, però, già prende avvio nel 2002 (D.Lgs 301/2002, art. 1, c.1, lettera a): la «ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente» sostituisce l’indicazione della «successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente».
Il «fabbricato identico» non c’è più, e così anche il mantenimento delle caratteristiche originali dei materiali. Se della ragionevolezza di queste modifiche può discutersi, insieme a esse il venir meno del vincolo di sedime comincia a dare alla definizione connotati paradossali (che poi diventeranno grotteschi), con la ristrutturazione che ora si accompagna a edifici, per così dire, in movimento…
Il processo mutageno si accelera nel 2013 (L. 98, art. 30, c. 1, lettera a), quando a essere eliminato è il vincolo di sagoma («le parole: ‘e sagoma’ sono soppresse e […] sono aggiunte le seguenti: ‘nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza’»).
Attraverso le modifiche ulteriori di questi anni ’20 - a cominciare da quelle apportate dalla legge 120 del 2020 - la mutazione si completa e rifinisce nell’attuale testo ‘coordinato’ del Dpr 380, per come tutti lo possono oggi consultare.
Esclusa la ‘riserva indiana’ degli «immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio» e di «quelli ubicati nelle zone omogenee A […] o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico», per i quali i precedenti vincoli continuano a permanere, per il resto delle situazioni l’unico aspetto che ora distingue la ristrutturazione edilizia dalla nuova costruzione è il suo applicarsi a un edificio preesistente - addirittura là dove questo non vi sia più, ma ne sia accertabile la passata preesistenza.
La falsificazione della parola è avvenuta, e ciò che è sostituzione edilizia viene detta ristrutturazione (?) edilizia: come se si pretendesse di dire ‘blu’ il rosso...
‘Rigenerazione urbana’, parola-etichetta di questa fase storica
Con la legge 120/2020 la trasfigurazione della ristrutturazione edilizia è sostanzialmente compiuta. Ma nel suo dispositivo argomentativo compare un aspetto ulteriore qualificante e rivelatore. Le «Semplificazioni e altre misure in materia edilizia» che la legge promuove (art. 10, comma 1) sono finalizzate ad «accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché […] assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo» (corsivo mio).
Si instaura il cortocircuito tra la facilitazione dei processi di trasformazione edilizia e i presunti effetti di rigenerazione urbana che ne dovrebbero essere conseguenza. ‘Rigenerazione’ è una delle parole-etichetta di questa fase storica delle politiche per le città. Non ci sono piano e amministrazione che non mobilitino virtuosi obiettivi di rigenerazione, inclusione, partecipazione, sostenibilità… Ma che cos’è la rigenerazione urbana?
Alla voce «Urban regeneration» della International Encyclopedia of Social & Behavioral Science, Claudio De Magalhães evidenzia che “le politiche di rigenerazione urbana cercano di affrontare i problemi di un determinato luogo in tutte le loro molteplici dimensioni”, cioè nella “interazione tra le dimensioni fisiche, economiche e sociali dei problemi urbani”. È una definizione ‘classica’ che, come per la sostenibilità, sottolinea la dimensione (auspicabilmente) integrata del termine, tra sollecitazioni fisiche, economiche e sociali.
Tuttavia, De Magalhães aggiunge che «la sostenibilità ambientale e le questioni relative al cambiamento climatico hanno acquisito una notevole importanza come obiettivi delle politiche di rigenerazione» e «gli obiettivi di sostenibilità ambientale sono ora diventati parte integrante anche delle agende delle politiche di rigenerazione urbana».
Per contro, l’interpretazione di ‘rigenerazione’ che traspare nei provvedimenti recenti, nazionali e regionali, a questa orientati, è tutta edilizia. Sono tutti alimentati dall’equivoco di pensare che la rigenerazione si risolva - consista - nei processi trasformativi di episodi edilizi esausti, mentre la rigenerazione - urbana, appunto - ha per oggetto la città nel suo insieme, e trova le risorse per questa operazione complessa proprio nelle contropartite pubbliche di quegli episodi trasformativi, il cui plusvalore, spesso di pura rendita, generato nella sostituzione andrebbe oculatamente stimato e ‘catturato’ secondo i principi di quello che Fausto Curti (2006) definiva, nei rapporti negoziali pubblico-privato, uno scambio leale.
I processi trasformativi edilizi sono alimento per una eventuale rigenerazione urbana, non l’obiettivo e l’esito di quest’ultima, attraverso cui valutarne l’efficacia.
La rigenerazione urbana di fatto è ‘sostituzione edilizia’
Ormai residuale la stagione dei ‘grandi progetti urbani’, la nuova fenomenologia del metabolismo della trasformazione è ora fatta (tranne che per poche eccezioni) di occasioni di grana eterogenea - media, piccola, piccolissima, pulviscolare, che si manifestano secondo ragioni, opportunità e traiettorie plurali e variabili, e con geografie scomposte e difficilmente prevedibili.
Che la rigenerazione consista nella mera riedificazione - sotto le mentite spoglie della ristrutturazione edilizia - di edifici consumati, che hanno esaurito il loro ciclo di vita, non giustifica il ricorso a questa locuzione programmatica, così densa di auspici e attese: rigenerazione urbana, appunto. Basterebbe dire ‘sostituzione edilizia’. O forse, a essere generosi, ‘recupero urbano’. Nemmeno ‘riqualificazione urbana’ potrebbe utilizzarsi: perché la qualità, in questo processo di sostituzione, è un aspetto tutto da verificare.
La rigenerazione urbana non è un problema edilizio, ma urbanistico il quale, piuttosto, in quei processi trasformativi dovrebbe provare a trovare, almeno in parte, risorse per un progetto pervasivo di qualificazione dello spazio aperto, del welfare urbano, dell’accesso alla casa, in un ancor più generale - ‘basico’ - processo di re-infrastrutturazione complessiva dell’impalcato urbano, che lavori sulle prestazioni primarie dell’urbanità in crisi (gestione delle acque, dei suoli, prestazioni ecologiche e bioclimatiche della città, qualità dell’ambiente urbano e dello spazio abitabile).
Per certi versi si tratta di tornare a pratiche urbanizzative ri-fondative analoghe, nella differenza, a quelle di costruzione della città otto-novecentesca europea. Il che della rigenerazione fa tutt’altra questione da una sua mediocre sottointerpretazione nei termini di lubrificazione di processi parassitari di sostituzione edilizia. Come se gli effetti di rigenerazione urbana potessero rappresentarsi col metro dell’efficienza di una veloce ‘demo-ricostruzione’: non c’è nessuna rigenerazione urbana in un processo di pura sostituzione di edifici ‘consumati’.
Ristrutturazione edilizia, rigenerazione urbana e Salva Milano
La prospettiva imboccata col ‘Salva Milano’ è quella dell’ulteriore intervento derogatorio, disorganico e disarmonico, in una deriva che ha visto tarmare il quadro giuridico dell’urbanistica - l’idea stessa di una urbanistica necessaria - attraverso una selva di provvedimenti settoriali, a prevalente contenuto edilizio (con l’edilizia utilizzata come grimaldello di scardinamento urbanistico), senza un pensiero che ne disciplinasse una qualche coerenza complessiva di sistema - in assenza di una idea di ‘governo del territorio’.
Che a Milano ci si sia trovati oggi a discutere sul mancato rispetto o meno di norme urbanistiche - ‘ponte’ - della fine degli anni ’60 del secolo scorso, che ci si interroghi sul se e quando quelle disposizioni siano ancora in vigore, nella babele di modifiche nazionali e regionali intercorse, disegna il quadro, desolante, dell’urgenza di una ormai non più rinviabile nuova legge urbanistica. Un’urgenza che il Salva Milano umilia. Che questa venga presentata come norma ‘interpretativa’ costituisce un ulteriore tradimento della parola.