Add Impression Banner Skin
Network
Pubblica i tuoi prodotti
Muffa e condensa: come prevenirle con una corretta verifica igrometrica

Muffa e condensa: come prevenirle con una corretta verifica igrometrica

Progettare senza di essa significa ignorare variabili essenziali per il comfort, la durabilità e la salubrità dell’edificio: in altre parole, è come progettare al buio

Muffa e condensa nei muri: prevenzione con la verifica igrometrica - Foto: rutchapong 123RF.com
Muffa e condensa nei muri: prevenzione con la verifica igrometrica - Foto: rutchapong 123RF.com
di Rossella di Gregorio
10/06/2025 - Muffa e condensa sono tra i problemi più comuni che colpiscono pareti perimetrali e coperture, cioè gli elementi che compongono l’involucro opaco di un edificio.

Si formano quando l’umidità interna non viene correttamente gestita e controllata in fase progettuale, soprattutto in occasione di interventi su edifici esistenti o di nuova costruzione, come l’installazione di cappotti termici o la modifica delle stratigrafie.
 
Questi fenomeni sono spesso il sintomo di una verifica termoigrometrica (o controllo igrometrico) non eseguita o eseguita in modo scorretto.

La verifica termoigrometrica è infatti un’analisi obbligatoria secondo la normativa italiana ogni volta che si interviene sull’involucro opaco. Il suo scopo è prevenire i rischi legati all’umidità, garantendo:
 
  1. l’assenza di formazione di muffe e condensa superficiale sulle facce interne delle strutture;
  2. il mancato accumulo di condensa interstiziale all’interno degli strati della parete o copertura.
 

Quando e perché è necessaria la verifica igrometrica

La verifica igrometrica è obbligatoria per legge ogni volta che si interviene sull’involucro opaco di un edificio, sia nel caso di nuove costruzioni che di interventi sull’esistente.

A stabilirlo è il DM 26 giugno 2015 (cosiddetto Decreto Requisiti Minimi), che richiede controlli igrometrici per garantire la qualità energetica e prestazionale degli edifici.
 
In particolare, la verifica igrometrica è richiesta in caso di:
 
  • edifici di nuova costruzione;
  • demolizioni e ricostruzioni;
  • ampliamenti volumetrici e recupero di volumi esistenti;
  • ristrutturazioni importanti di primo e secondo livello;
  • riqualificazioni energetiche dell’involucro edilizio.
 
Il controllo delle prestazioni igrometriche è dunque uno strumento tecnico fondamentale per prevenire fenomeni di condensa e garantire la durabilità, salubrità e qualità complessiva del progetto.
 

Controllo igrometrico e traspirabilità: facciamo chiarezza

Spesso si tende a confondere il controllo igrometrico con la traspirabilità di una struttura edilizia, ma si tratta di concetti distinti e non sovrapponibili.
 
Il controllo igrometrico, come abbiamo detto, riguarda una verifica obbligatoria per legge, che serve ad accertare in fase di progetto l’assenza di condensa interstiziale e l’assenza di rischio di formazione di muffa sulla superficie interna delle pareti.
 
La traspirabilità, invece, è una caratteristica fisica di progetto, e indica la capacità di una struttura opaca di far passare il vapore acqueo, ed è legata a una bassa resistenza al vapore (espressa come valore Rv o µ).

A differenza del controllo igrometrico, la traspirabilità non è un requisito normativo: può essere utile in certe scelte progettuali, ma non sostituisce né garantisce l’assenza di fenomeni di condensa.
 
Dunque, un pacchetto traspirante non è automaticamente termo-igrometricamente corretto.
 

Modalità di calcolo

Le verifiche termoigrometriche, come si è detto, si applicano esclusivamente alle strutture opache oggetto di intervento che separano l’ambiente interno climatizzato da quello esterno.

Vediamo, per i tre rischi da valutare, quali sono i criteri e metodi di calcolo specifici:
 

1. Rischio di formazione di muffa

Il rischio di formazione di muffa si manifesta sulla superficie interna delle strutture edilizie, ed è favorito da condizioni ambientali caratterizzate da basse temperature superficiali e da un’elevata umidità relativa interna protratta nel tempo. Queste situazioni si verificano spesso durante i mesi invernali o in ambienti scarsamente ventilati, come bagni, cucine o locali esposti a nord.

La normativa vigente impone che tale rischio venga valutato sia nella sezione corrente della parete sia nei punti più critici, come i ponti termici. A tal fine, si utilizzano i metodi di calcolo definiti dalle norme UNI EN ISO 13788 e UNI EN ISO 10211. (Per un approfondimento sui ponti termici, leggi Ponte termico: cos’è, perché si crea e come si corregge).

Sebbene le norme non forniscano una formula univoca per questa verifica, l’approccio progettuale prevede di confrontare la resistenza termica della stratigrafia con una resistenza minima accettabile, calcolata in funzione delle condizioni termoigrometriche del mese critico. La verifica si considera superata quando la temperatura superficiale interna, risultante dal calcolo, è sufficientemente elevata da scongiurare l’attivazione delle condizioni favorevoli alla proliferazione delle muffe. 


2. Rischio di condensazione superficiale

Anche la condensazione superficiale interessa le superfici interne delle strutture, ma a differenza della muffa, si manifesta in modo istantaneo quando la temperatura superficiale scende al di sotto del punto di rugiada. In passato, questo tipo di verifica era trattato in maniera autonoma dalla norma UNI 10351:1999, ma oggi è sostanzialmente inglobata nell’analisi del rischio muffa, secondo l’evoluzione normativa vigente. La sua valutazione rimane comunque fondamentale per prevenire disagi evidenti come gocciolamenti, efflorescenze e deterioramento dei materiali di finitura.
 

3. Rischio di condensazione interstiziale

La condensazione interstiziale, a differenza delle due precedenti, avviene all’interno della stratigrafia, cioè tra gli strati che compongono l’involucro opaco. Il metodo di calcolo principale previsto dalla normativa è quello stazionario mensile descritto dalla UNI EN ISO 13788, noto come metodo di Glaser. Questo approccio consente di valutare il comportamento termoigrometrico della parete sulla base di medie mensili, calcolando l’andamento della pressione di vapore effettiva e confrontandola con la pressione di saturazione all’interno della stratigrafia.

In alternativa, per una valutazione più accurata è possibile ricorrere a un’analisi dinamica oraria secondo la UNI EN 15026.

 

Calcolo del rischio di condensa interstiziale: il metodo di Glaser

Per verificare il rischio di condensazione interstiziale all’interno degli strati di una parete o copertura, la normativa tecnica fa riferimento principalmente al cosiddetto metodo di Glaser, descritto nella UNI EN ISO 13788.
 
Si tratta di un'analisi stazionaria che valuta il comportamento igrometrico della stratigrafia a partire da condizioni termoigrometriche medie mensili, interne ed esterne.
Il calcolo si basa sulla comparazione tra la pressione di vapore effettiva e la pressione di saturazione per ciascuna interfaccia tra i materiali. Questi valori vengono riportati all'interno di un diagramma di Glaser, dove, se le due curve si toccano o si intersecano, si segnala un possibile punto di condensazione. In tal caso si procede anche a calcolare la quantità di vapore condensato in grammi per metro quadrato.

Affinché la verifica sia considerata superata, la condensa eventualmente generata deve rievaporare completamente entro l’arco di 12 mesi, e comunque non superare il limite massimo di 500 g/m².
 

Dal metodo di Glaser all’analisi igrometrica dinamica

Il metodo di Glaser, pur essendo il più diffuso, presenta alcune semplificazioni importanti. Non tiene conto di fenomeni dinamici come pioggia, irraggiamento solare, effetto del vento, asciugatura o accumulo di umidità.
 
Proprio per questo motivo, nei casi più complessi o dubbi, è consigliabile ricorrere a un’analisi igrometrica dinamica, secondo la norma UNI EN 15026.

Questa metodologia si basa su una simulazione oraria, capace di rappresentare in modo più realistico i processi di migrazione del vapore all’interno delle strutture, includendo anche l’effetto del comportamento dell’utenza e delle condizioni climatiche reali.

La norma non impone soglie prestazionali fisse, ma richiede un’interpretazione critica dei risultati. Per questo, l’analisi dinamica viene spesso utilizzata per approfondire o validare un esito dubbio ottenuto con il metodo di Glaser, soprattutto quando si sospetta che la condensa ipotizzata dal calcolo stazionario possa essere sovrastimata.
 

Come evitare la condensa interstiziale: criteri progettuali

Per ridurre il rischio di condensazione interstiziale, la norma UNI EN ISO 13788 raccomanda, nell’ambito del calcolo stazionario, di seguire due criteri fondamentali nella progettazione della stratigrafia:
 
  • Il primo consiste nel disporre i materiali in ordine crescente di resistenza termica dall’interno verso l’esterno, in modo da favorire un gradiente termico regolare e ridurre la possibilità di abbassamenti improvvisi di temperatura all’interno della parete. È il caso dell’isolamento esterno, a cappotto.
  • Il secondo criterio prevede di disporre i materiali in ordine decrescente di resistenza al vapore, sempre dall’interno verso l’esterno, così da facilitare la migrazione del vapore verso l’esterno e limitarne l’accumulo in strati intermedi, è il caso dell’isolamento interno
 
Questi accorgimenti aiutano a controllare il flusso simultaneo di calore e umidità, riducendo la probabilità che la pressione di vapore interna raggiunga la pressione di saturazione in qualche punto della stratigrafia, condizione che porterebbe alla formazione di condensa.
 

Esempi applicativi nei casi di interventi per il risanamento energetico

Negli interventi di risanamento energetico, che prevedono l’aggiunta di strati isolanti su murature esistenti — come quelle in pietra arenaria, blocchi di tufo, mattoni pieni, laterizio forato, calcestruzzo alleggerito, murature a cassa vuota o calcestruzzo armato — la progettazione della nuova stratigrafia, che segue uno dei due approcci appena citati, potrebbe avere questa configurazione:
 

1. Isolamento esterno (a cappotto):

Gli strati vengono applicati sul lato esterno della muratura originaria. La sequenza tipica prevede: intonaco interno esistente, muratura, intonaco esterno originario, uno strato di intonaco minerale nuovo, lo strato isolante (es. EPS, XPS, lana minerale, silicato di calcio, ecc.) e, infine, un nuovo intonaco esterno idrorepellente. Il tipo e lo spessore dell’isolante variano in funzione dei requisiti di trasmittanza termica in base alla zona climatica. (Per un chiarimento sui termini e sull’approccio progettuale, leggi: Cappotto e sistema a cappotto: le differenze).
 

2. Isolamento interno:

In questo caso, i nuovi strati vengono aggiunti all’interno. Sulla la muratura originaria viene applicato uno strato isolante in materiali come EPS, lana minerale, fibra di legno, sughero o silicato di calcio (dotato di un freno al vapore o una barriera al vapore, adeguatamente dimensionati e con il giusto valore di Sd (resistenza al passaggio del vapore acqueo). Seguirà la realizzazione di un nuovo intonaco interno (in gesso o a base calce-pozzolana, a seconda della compatibilità con il supporto). L’intonaco esterno può essere eventualmente trattato o sostituito con uno idrorepellente. (Per approfondire le problematiche specifiche legate all’isolamento interno leggi: Cappotto interno: criteri di scelta e soluzioni). 
 
Va ribadito, ancora una volta, che si tratta di criteri progettuali teorici, efficaci nella maggior parte dei casi, ma non sempre sufficienti in presenza di situazioni complesse o materiali particolari.
 
In questi casi, una simulazione dinamica secondo la UNI EN 15026 può offrire un’analisi più realistica del comportamento igrometrico dell’involucro, soprattutto quando la stratigrafia progettata non segue perfettamente i criteri raccomandati.

 
Le più lette