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Demolire e ricostruire altrove equivale a una ristrutturazione

Demolire e ricostruire altrove equivale a una ristrutturazione

Per il CGA Sicilia, anche la ricostruzione su altro lotto è ristrutturazione edilizia. Un’interpretazione in linea con quella proposta dal Salva Milano

Vedi Aggiornamento del 13/06/2025
Ristrutturazione edilizia: ok a ricostruzione su altro lotto - Foto: kwangmoo 123rf.com
Ristrutturazione edilizia: ok a ricostruzione su altro lotto - Foto: kwangmoo 123rf.com
di Rossella Calabrese
Vedi Aggiornamento del 13/06/2025
11/06/2025 - La definizione di ristrutturazione edilizia continua a generare incertezze interpretative, soprattutto nei casi in cui l’intervento comporti demolizione e ricostruzione con modifiche significative.
 
Di recente il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha stabilito che la demolizione di un edificio e la sua ricostruzione su un lotto diverso può rientrare nella nozione di ristrutturazione edilizia, purché siano rispettate le capacità edificatorie del nuovo lotto e le normative urbanistiche vigenti.
 
Il tema richiama il ‘caso Milano’, relativo alle indagini sull’uso improprio della SCIA per interventi che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto essere classificati come nuove costruzioni anziché ristrutturazioni. Vicende che hanno portato al ddl Salva Milano, che semplifica le procedure in aree urbanizzate ma solleva timori di possibili sanatorie.
 
Questi eventi mettono in luce la necessità di una maggiore chiarezza normativa per distinguere tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, al fine di garantire trasparenza e legalità nelle trasformazioni urbane.
 

Ricostruzione su altro lotto: la sentenza del CGA Sicilia

Con istanza del 2021, i proprietari avevano chiesto un permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del DPR 380/2001, che prevedeva la demolizione di un fabbricato esistente e la ricostruzione in un diverso fondo, fisicamente e catastalmente distinto dal primo, con traslazione della volumetria dell’immobile demolito.
 
Il Comune aveva rigettato l’istanza, sostenendo che si trattasse non di ristrutturazione ma di nuova costruzione, motivazione che il TAR Sicilia ha accolto con la sentenza n. 2409/2023. Invece, con decisione di secondo grado, il Consiglio di Giustizia Amministrativa (C.G.A.) della Regione Siciliana ha riformato la sentenza, riconoscendo l’intervento come legittimo.
 

Nodo interpretativo: la ‘ristrutturazione edilizia’ dopo il DL 76/2020

La questione giuridica centrale riguarda la definizione di “ristrutturazione edilizia” introdotta dalla legge di conversione del Decreto Semplificazioni (DL 76/2020 convertito nella Legge 120/2020). Secondo tale norma, rientrano nella ristrutturazione anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con sagoma, prospetti, sedime, e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche differenti, purché rispettino alcune condizioni (norme antisismiche, accessibilità, impianti, efficientamento energetico).
 
Per il TAR, questa nuova definizione non giustifica uno spostamento dell’edificio su un’area completamente diversa, perché ciò equivarrebbe a consumo di nuovo suolo e dunque a nuova costruzione.
 
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con la sentenza 422 del 3 giugno 2025, dissente radicalmente. Infatti, l’intervento proposto dagli appellanti consiste nella demolizione di un manufatto sito in un certo terreno e nella successiva edificazione in un distinto terreno e, secondo quanto sostenuto nell’appello, rientrerebbe nella richiamata nozione di “ristrutturazione edilizia” in ragione della prevista possibilità che l’attività di “ricostruzione” avvenga in un diverso “sedime”.
 

C.G.A.: traslare la volumetria non è nuova costruzione

Secondo i giudici di secondo grado, il concetto di “sedime” contenuto nella normativa non è limitato alla porzione originaria del terreno, né tanto meno al perimetro del lotto catastale.
 
Dunque, traslare la volumetria su un terreno distinto è possibile e non equivale automaticamente a una nuova costruzione, a patto che:
- sia demolito un fabbricato preesistente;
- sia rispettata la capacità edificatoria del fondo di destinazione;
- siano omogenee le destinazioni urbanistiche (come previsto nel caso in esame, dove i fondi ricadevano entrambi in zona B/3);
- la distanza tra i lotti rispetti il limite regolamentare per la cessione di cubatura (nel caso specifico, il Regolamento comunale prevedeva un massimo di 1.500 metri; i fondi distavano meno di 250 metri).
 
Quindi, per il C.G.A., la nuova ristrutturazione edilizia post-2020 non presuppone più una rigida continuità fisica con l’edificio demolito. Anzi, il legislatore ha voluto proprio superare questo vincolo, introducendo una nozione più flessibile e coerente con gli obiettivi di rigenerazione urbana e di riqualificazione del costruito.
 


Ristrutturazione vs nuova costruzione: dov’è il confine?

La differenza tra ristrutturazione e nuova costruzione sta nel presupposto della demolizione. Se l’intervento prevede la demolizione di un edificio esistente, può rientrare nella ristrutturazione edilizia, anche con traslazione. Se invece si costruisce ex novo su un suolo libero, si tratta di nuova costruzione.
 
Il consumo di suolo, infatti, non è legato solo al sedime fisico, ma al bilanciamento urbanistico tra demolizione e ricostruzione. In questo senso, spostare il volume su altro fondo edificabile, a fronte della demolizione del fabbricato originario, non configura consumo aggiuntivo, bensì un riuso di cubatura.
 

Ristrutturazione in altro sedime, le implicazioni

La pronuncia del C.G.A. è particolarmente significativa per gli operatori interessati alla rigenerazione urbana in aree a forte vincolo, per i Comuni chiamati a valutare progetti innovativi di ricostruzione e per i professionisti tecnici che progettano interventi di demolizione e ricostruzione non “in situ”.
 
I giudici - affermando che la ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione può avvenire anche su un sedime diverso, purché siano rispettate le condizioni urbanistiche e non si tratti di una nuova edificazione “mascherata” - hanno scelto una strada interpretativa più ampia e aderente agli obiettivi del legislatore del 2020, che promuove il recupero del costruito anche attraverso operazioni di ricollocazione del volume esistente.
 
Si tratta di un’interpretazione coerente con il principio di non consumo di nuovo suolo e con le finalità della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, che potrebbe incidere significativamente sulla prassi applicativa degli uffici tecnici comunali.
 

Ristrutturazione o nuova costruzione? Il caso Milano

La recente sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana introduce una lettura estensiva della ristrutturazione edilizia, riconoscendo che anche la traslazione su un sedime diverso può rientrare in questa categoria, purché ci sia demolizione del preesistente e rispetto delle capacità edificatorie del nuovo lotto.
 
Una posizione diametralmente opposta a quella adottata dalla Procura di Milano, che ha avviato una serie di inchieste giudiziarie e sequestri, contestando la realizzazione di nuovi grattacieli mediante semplice SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), in assenza di piani attuativi. Secondo l’impostazione dell’accusa, tali interventi non possono essere considerati ristrutturazioni perché prevedono aumenti di volumetria o altezza, spostamenti di sedime, e più in generale, mancanza di continuità con l’edificio preesistente.
 
Il ddl Salva Milano, approvato alla Camera nel novembre 2024, cerca proprio di colmare questa zona grigia normativa, semplificando le condizioni in cui è possibile procedere a demolizione e ricostruzione in ambiti già urbanizzati, senza dover passare da nuovi strumenti urbanistici. Ma ciò ha sollevato forti critiche, perché il rischio percepito è che si legittimino prassi edilizie opache, simili a quelle contestate nelle recenti inchieste giudiziarie.
 


Rigenerazione urbana o urbanistica ‘contrattata’?

La pronuncia siciliana, pur in un contesto regolativo e territoriale diverso, sposa una visione funzionale e dinamica della ristrutturazione edilizia: ciò che conta non è tanto la continuità fisica con l’edificio demolito, quanto l’esistenza di una relazione urbanistica coerente, il rispetto delle destinazioni d’uso e l’equilibrio tra demolizione e ricostruzione.
 
La Procura di Milano, invece, adotta una linea molto più rigida e formalistica, sottolineando come la mancanza di trasparenza procedurale e l’assenza di piani attuativi possano mascherare operazioni speculative, spingendosi fino al sequestro dei cantieri.
 

Il nodo è normativo: servono regole più chiare

Il confronto tra le due vicende mostra come l’Italia stia affrontando una fase di transizione normativa nella disciplina degli interventi edilizi: da un lato, si vuole incentivare la rigenerazione urbana, dall’altro si cerca di evitare che la semplificazione diventi deregolamentazione.
 
La sentenza siciliana, in questo senso, potrebbe diventare un precedente giurisprudenziale importante, offrendo una lettura evolutiva dell’art. 3 del DPR 380/2001. Ma serve una riforma organica che, superando le interpretazioni divergenti, definisca con precisione il confine tra ristrutturazione e nuova edificazione, anche in relazione a traslazione del sedime, cessione di cubatura e strumenti attuativi.
 
Ci auguriamo che l’impasse possa essere superata con la riscrittura del Testo Unico dell’Edilizia, da tempo allo studio del legislatore.
 
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