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Impianti aeraulici, quali scegliere e come progettarli
di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente

Impianti aeraulici, quali scegliere e come progettarli

Le funzioni fondamentali: climatizzazione, riscaldamento/raffrescamento, ventilazione e ricambio dell’aria

Vedi Aggiornamento del 07/10/2024
Foto: Climaver A2 Neto di Saint-Gobain Isover
Foto: Climaver A2 Neto di Saint-Gobain Isover
di Roberto Nidasio - CTI Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente
Vedi Aggiornamento del 07/10/2024
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27/01/2023 - L’impianto aeraulico è un sistema o un insieme di componenti che utilizza l’aria allo scopo di assolvere determinate funzioni in relazione a determinate condizioni di benessere desiderate negli ambienti interni. Elemento centrale è quindi l’aria, che può essere prelevata dall’esterno, trattata, distribuita, immessa ed espulsa.
 
In un precedente articolo abbiamo parlato degli impianti idronici, ovvero quelli che utilizzano l’acqua come fluido termo-vettore, soffermandoci in particolare sulle tipologie e le caratteristiche dei terminali di emissione. Con questo articolo aggiungiamo un ulteriore tassello al bagaglio conoscitivo, che ogni tecnico o progettista impiantistico dovrebbe possedere, parlando di impianti aeraulici.
 
Ma andiamo con ordine e descriviamo un po’ meglio le varie funzioni, allo scopo anche di classificare le diverse tipologie di impianti aeraulici.
 
Innanzitutto, è opportuno rimarcare la differenza tra climatizzazione, invernale e/o estiva, e riscaldamento e/o raffrescamento. Con climatizzazione si intende infatti un controllo termo-igrometrico, quindi sia della temperatura sia dell’umidità dell’aria interna. Con il riscaldamento o il raffrescamento si ha, invece, il solo controllo della temperatura.
 
In questo caso è fondamentale la parola “controllo”, da intendersi come possibilità di poter settare e regolare il parametro. Prendiamo ad esempio il caso del raffrescamento. Quasi tutti gli impianti hanno la possibilità di poter settare e regolare la temperatura, e va da sé che il raffrescamento dell’aria può comportare, in genere, anche una deumidificazione (il vapore acqueo, contenuto nell’aria calda e umida prelevata dall’ambiente, può condensare sulla batteria fredda), ma ciò non vuol dire che tali impianti controllino l’umidità; in questi casi la deumidificazione è un effetto incontrollato del raffrescamento.
 
Per avere il controllo dell’umidità occorrono infatti ben altri trattamenti, oltre alla semplice batteria fredda degli impianti di raffrescamento. Chiudiamo questa breve parentesi ricordando che spesso si utilizza il termine, non proprio preciso, di “condizionamento” come sinonimo di climatizzazione.
 
Torniamo quindi alle funzioni che può assolvere un impianto aeraulico. Abbiamo già parlato della climatizzazione o del riscaldamento/raffrescamento (detto anche termo-ventilazione). Ma vi è, ovviamente e soprattutto, anche la funzione di ventilazione, da intendersi come rinnovo dell’aria ai fini di garantire agli occupanti adeguate condizioni di benessere.
 
Il ricambio dell’aria è, infatti, indispensabile in tutti gli ambienti dove vi è la permanenza di persone. È necessario garantire, da un lato, un’adeguata ossigenazione e, dall’altro, la rimozione degli inquinanti (cioè tutti i contaminanti dell’aria che possono avere effetti negativi sulla salute delle persone).
 
Negli edifici privi di impianti aeraulici, la ventilazione è attuata con l’apertura delle finestre o con tecniche di ventilazione naturale. Ove vi sia un impianto aeraulico, la ventilazione è generalmente garantita meccanicamente da quest’ultimo.
 
Ora è necessaria una precisazione: negli edifici dotati di impianto aeraulico, non è che non si possano aprire le finestre, ma tale pratica è comunque sconsigliata (a meno di situazioni particolari come malfunzionamenti o blocchi dell’impianto). È sconsigliato aprire le finestre poiché ciò vanifica, perlomeno in parte, uno dei principali vantaggi che può avere un impianto di ventilazione meccanica, ovvero la filtrazione dell’aria.
 
Occorre ricordare, infatti, che con l’apertura delle finestre si attua un ricambio (una diluizione) dell’aria interna con aria esterna che potrebbe non essere pulita, nel senso che potrebbe avere livelli di contaminanti addirittura superiori a quelli dell’aria interna (si pensi, ad esempio, alla scarsa qualità dell’aria esterna delle grandi città, soprattutto nel periodo invernale).
 
Con la ventilazione meccanica, invece, si ha la garanzia che l’aria immessa in ambiente sia stata adeguatamente filtrata ed è quindi possibile garantire un controllo della qualità dell’aria interna.
 
Sempre a livello di classificazione e tipologie di impianti, un impianto aeraulico può essere l’unico impianto presente (in questo caso si dice “impianto a tutt’aria” o “a sola aria”) oppure essere affiancato ad un impianto idronico (i cosiddetti “impianti misti aria/acqua). Ricordiamo che gli impianti idronici a ventilconvettori non sono impianti aeraulici, bensì appunto impianti idronici.
 
Anche gli impianti ad espansione diretta (ad esempio i comuni “split”) non sono impianti aeraulici. Queste ultime due tipologie di impianti, infatti, pur effettuando un riscaldamento o un raffrescamento, non usano l’aria come fluido termo-vettore, bensì ricircolano semplicemente l’aria ambiente (aria secondaria).
 
Tra un impianto a tutt’aria ed un impianto misto aria-acqua vi è la sostanziale differenza che il primo si deve far carico, oltre che del ricambio d’aria e quindi delle esigenze di ventilazione, anche dei carichi termici (sensibili e latenti) invernali e/o estivi. Con la seconda tipologia, invece, l’impianto aeraulico ovviamente svolgerà la funzione di ventilazione, mentre i carichi termici potranno essere opportunamente ripartiti tra la parte idronica e la parte aeraulica.
 
Tale sostanziale differenza si riflette sul dimensionamento e sulle scelte progettuali. Come tutti sanno infatti vi è una relazione stretta tra carico termico, portate, sezione delle condotte e velocità dell’aria. Per il dimensionamento di un impianto aeraulico, qualunque progettista parte infatti dalle condizioni di qualità dell’aria interna desiderate all’interno dei vari ambienti dell’edificio.
 
Ciò determina delle portate per ambiente, che sono calcolate tenendo conto della superficie utile e del numero di occupanti (le norme tecniche forniscono precisi valori a riguardo). Tali portate corrispondono al minimo necessario e sufficiente a garantire la qualità dell’aria voluta.
 
Ma un impianto aeraulico, come abbiamo detto, può assolvere anche la funzione di climatizzare. In questo caso l’aria è fluido-termovettore e quindi responsabile di fornire o rimuovere un determinato carico termico. La portata per fare ciò può quindi essere maggiore della portata minima di ventilazione. Date le portate, il progettista è quindi chiamato a dimensionare la rete dei canali.
 
A tal punto occorre arrivare al miglior compromesso tra velocità dell’aria e sezione delle condotte. Da un lato, infatti, vi è l’esigenza di ridurre il più possibile la sezione delle condotte, sia per una questione di ingombri, sia per minimizzare i costi. Tuttavia, a parità di portata, la riduzione delle sezioni può avvenire fino ad un certo punto, poiché la velocità dell’aria non deve superare certi valori, sia per una questione di comfort in ambiente (un flusso d’aria in uscita dalle bocchette a velocità troppo elevata crea disagio), sia per ragioni legate alla rumorosità e alle perdite di carico.
 
Ciò che abbiamo appena illustrato è quindi uno dei principali criteri discriminanti nella scelta di un impianto a tutt’aria rispetto ad un impianto misto.
 
Laddove, infatti, vi siano portate di ventilazione molto elevate (pensiamo, ad esempio, a tutti gli edifici con tassi di occupazioni importanti, come cinema e teatri, oppure a quelli con volumi elevati, come centri commerciali, palazzetti e palestre), cioè in tutti i casi in cui le portate per la climatizzazione non siamo molto superiori a quelle per la sola ventilazione, allora un impianto a tutt’aria è sicuramente una buona opzione.
 
Nei casi invece dove i carichi termici sono di una certa rilevanza rispetto alla ventilazione (uffici, scuole, ecc.) allora l’impianto misto aria-acqua può trovare spazio, poiché si comporrebbe di una parte aeraulica con portate e sezioni delle condotte dimensionate per la ventilazione (ed eventualmente per i carichi latenti) e una parte idronica che si prenderebbe i carichi sensibili.
 
Un’altra distinzione che si può fare sugli impianti aeraulici riguarda i flussi di aria. Più nel dettaglio, la maggior parte degli impianti sono “a doppio flusso”, ovvero prevedono sia un’immissione che un’estrazione dell’aria in modo canalizzato. Vi possono però essere anche impianti “a semplice flusso”, quindi caratterizzati o solo da immissione o solo da estrazione canalizzata. In queste situazioni, chiaramente, ci si avvarrà di idonee aperture (di immissione o espulsione) per far sì che i locali non vengano posti eccessivamente in sovrappressione o depressione.
 
Le differenze che ci sono tra queste diverse tipologie di impianti non riguardano però solo un fatto di pura classificazione o denominazione. È infatti da tenere ben presente che, a seconda della tipologia, possono essere soddisfatte o garantite determinate funzioni.
 
Facendo sempre il paragone con l’aerazione naturale, è da considerare che un altro vantaggio della ventilazione meccanica è la possibilità di recuperare il calore dall’aria estratta, che appunto in caso di semplice apertura di finestre andrebbe perso. Tale possibilità è garantita da un recuperatore, che è un componente dell’impianto a doppio flusso. Purtroppo, negli impianti a semplice flusso non è possibile fare ciò e quindi essi non riescono a garantire il risparmio energetico conseguibile con gli impianti a doppio flusso con recuperatore.
 
Altro aspetto da considerare, riprendendo il discorso legato alla filtrazione, è che gli impianti di sola estrazione non riescono a garantire la filtrazione dell’aria.
 
È doveroso, per completezza nella trattazione, aprire a questo punto un’ulteriore parentesi legata a quanto appena detto. Esistono in commercio dispositivi localizzati e puntuali che essenzialmente sono delle unità ventilanti a flussi d’aria asincroni. In parole più semplici, tali dispositivi, funzionano per un certo tempo in modalità di immissione e per altro tempo in modalità estrazione. Ora, sebbene tali dispositivi possano anche essere dotati di recuperatore (solitamente di materiale ceramico) è bene tener presente che essi difficilmente riusciranno a raggiungere le prestazioni, energetiche e di filtrazione dell’aria, di un impianto di ventilazione meccanica a doppio flusso canalizzato, dotato di recuperatore e idonea filtrazione (nota: un filtro, per definizione, è un dispositivo che può essere attraversato dall’aria in un solo verso. Qualora quindi un apparecchio alterni i flussi d’aria, qualunque barriera perde la propria funzione filtrante, poiché inevitabilmente i contaminanti che si depositano in fase di estrazione sul lato sporco del filtro sono rimessi in ambiente in fase di immissione).
 
Chiudiamo questa panoramica sugli impianti aeraulici citando l’altra classica distinzione tra gli impianti, ovvero quelli a portata costante e quelli a portata variabile. Per ciascuna delle due tipologie, esistono poi delle sotto-categorie in funzione delle strategie di regolazione (centralizzata o localizzata) della configurazione (per singola zona o multi-zona) e del fatto che siano a temperatura costante o variabile. Rimandiamo quindi ad articoli più specifici la disamina delle caratteristiche e della progettualità di ciascun impianto.
 
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