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Pandemia coronavirus: miopie strategiche
di Gianfranco Dioguardi*

Pandemia coronavirus: miopie strategiche

Un illuminante contributo del professor Gianfranco Dioguardi

Vedi Aggiornamento del 16/04/2021
Pandemia coronavirus: miopie strategiche
di Gianfranco Dioguardi*
19/03/2020 - È davvero singolare come la classe politica che governa i paesi della terra, in particolare le grandi nazioni che ambiscono esercitare una leadership morale (tra cui Stati Uniti ma anche i paesi riuniti nell’Unione Europea) stia affrontando il gravissimo problema della pandemia provocata dal coronavirus.

Sembra esserci in atto una sorta di fatalismo imperante e generalizzato, come se ci si trovasse di fronte a un catastrofico evento naturale sul quale intervenire soltanto per gli effetti immediati, auspicando e pregando che tutto si concluda al più presto possibile. Così l’attenzione si concentra su interventi pur indispensabili di breve termine, effettuati per tentare di risolvere gli effetti negativi più immediati: si corre ad attrezzare ospedali insufficienti, si cerca di rifornirsi di strumenti di prevenzione peraltro scarsi (mascherine facciali, ventilatori polmonari e via dicendo), si arruola alla meglio nuovo personale medico e paramedico spesso impreparato ad affrontare queste emergenze così che le loro prestazioni diventano immediatamente eroiche.

È indubbiamente molto giusto fare fronte a situazioni di emergenza attribuendo loro un carattere prioritario, tanto più essenziale in quanto non si era mai presa in considerazione l’eventualità di un così drammatico evento, sebbene lugubri ricordi di antiche epidemie - fra le molte, la febbre spagnola e più recentemente quella del virus Ebola in Africa - avrebbero dovuto tener ben desta l’attenzione. Ma oggi al coronavirus non andrebbe attribuito il carattere di fatalità naturale da affrontare con rassegnata passività - di fatto siamo impegnati in una guerra che come tale va combattuta contro un nemico da sconfiggere con ogni mezzo. Si impone dunque la necessità di attrezzare e finanziare un grande progetto mondiale per sviluppare una ricerca coordinata, con scambi di informazioni in tempi reali, indispensabile per debellare il virus grazie a studi estesi anche a modalità organizzative generali. Solo così si potrà contrastarlo con efficacia globale.

In previsione di future e devastanti conseguenze economiche da diverse parti si sta già pensando a possibili soluzioni, dando per scontato che un futuro ci sarà. Così, si auspica per il «dopo» un nuovo piano Marshall anche se non si capisce bene quale Stato possa promuoverlo o finanziarlo nell’attuale clima, da molti osannato, di pretestuoso egualitarismo globalitario. Va ricordato che il Piano Marshall fu reso praticabile soltanto a guerra finita, grazie all’allora nazione leader - gli Stati Uniti - che in precedenza, per debellare definitivamente il virus nazista emigrato in Giappone, dovette mettere in atto un imponente programma di ricerca e sviluppo - il Progetto Manhattan - che vide impegnati i più autorevoli scienziati dell’epoca, fra i quali il nostro Enrico Fermi, e ciò al fine di realizzare quella bomba che aprì l’era nucleare. L’impegno finanziario fu enorme senza togliere nulla ai fondi stanziati per gli impegni bellici di tipo immediato.


E oggi si avverte urgente la necessità di un progetto analogo che attivi una ricerca sistematica riguardo tutte le misure atte a contrastare questo terribile virus. Il che è stato peraltro già molto chiaramente sollecitato, anche in termini strategici, da Bill Gates, creatore della celeberrima Microsoft e certamente una delle intelligenze più eminenti del nostro tempo. Infatti, il 3 aprile 2015 Gates ha pronunciato un esemplare discorso presso il benemerito ciclo di conferenze statunitense Ted Talks (Technology Entertainment Design Talks) che ha come missione quella di focalizzare «idee meritevoli di diffusione» (ideas worth spreading).

La sua conferenza si è aperta ricordando il tempo della guerra fredda, denso di paure per possibili attacchi nucleari con conseguenti enormi investimenti in armamenti bellici di difesa e di offesa. “Oggi il più grande rischio di catastrofe globale non è più questo […] se qualcosa ucciderà più di 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso, piuttosto che una guerra. Non missili ma virus. […] abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un’epidemia. Non siamo pronti per la prossima epidemia.”

L’intervento di Gates allora era ispirato dalla epidemia provocata dal virus Ebola. Ma nel suo dipanarsi il discorso si fece molto molto più inquietante: “La prossima volta potremmo non essere così fortunati. Può essere un virus in cui ci si sente abbastanza bene anche quando si è contagiosi, tanto da salire su un aereo o andare al mercato. La fonte del virus potrebbe essere un’epidemia naturale come Ebola o potrebbe essere causata da bioterrorismi. […] il modello di un virus che si diffonda per via aerea come l’influenza spagnola del 1918 […] oggi verrebbe diffuso in tutto il mondo molto rapidamente. […] È un problema serio, dovremmo essere preoccupati. Ma di fatto, possiamo realizzare un buon sistema di reazione.

Abbiamo i benefici di tutta la scienza e la tecnologia […] Facciamo passi avanti in biologia che dovrebbero cambiare drasticamente i tempi di ricerca […] possiamo avere strumenti, ma devono essere inseriti in un sistema sanitario globale. E bisogna essere pronti. […] Servono più ricerca e sviluppo nell’area dei vaccini e della diagnostica. […] Non ho un budget esatto di quanto potrebbe costare, ma sono sicuro sia molto basso rispetto al potenziale danno. […] Questi investimenti offrono benefici significativi oltre alla semplice preparazione alle epidemie. […] Credo quindi che dovrebbe essere considerata come una assoluta priorità. Non dobbiamo farci prendere dal panico. Non dobbiamo fare scorta di spaghetti o scendere in cantina. Ma dobbiamo muoverci perché il tempo non è dalla nostra parte. Di fatto, se c’è una cosa positiva di Ebola, è che può servire come avvertimento, da campanello d’allarme per prepararci.”

Era il 2015 e quel campanello non ha trovato ascolto, ma ora i governanti dovrebbero finalmente scuotersi e agire con la massima urgenza proponendo un piano immediato di ricerca coordinata in ambito mondiale. Purtroppo, tutto ciò sarebbe attuabile se coloro che attualmente detengono il potere politico fossero statisti veri, mentre oggi ci troviamo, nel mondo, in presenza di una classe dirigente e politica disastrosa, incapace di analizzare obiettivamente la situazione e di decidere sul medio e lungo periodo. Purtroppo, oggi l’importante discorso di Bill Gates anziché essere assunto come bibbia da onorare e perseguire immediatamente è stato ricordato solo da qualche quotidiano in occasione delle sue dimissioni dalla Microsoft avvenute il 13 marzo 2020. E la sua conferenza è stata presentata declassandola a mera «profezia».

Se l’attenzione della gente può essere attivata solo con curiosità profetiche accompagnate da festose manifestazioni folcloristiche con canti, balli sui balconi d’Italia e fuochi d’artificioall’insegna di un nostro tipico modo di essere ispirato alla speranza del “tutto andrà bene”, allora val la pena riesumare anche un drammatico sceneggiato altrettanto profetico mandato in onda nel 1976 dalla televisione della Svizzera italiana (e poi nel 1979 dalla RAI): I Sopravvissuti, versione in lingua italiana della serie The Survivors prodotta l’anno prima dalla BBC. Si raccontava in quegli episodi di un virus letale sfuggito a un laboratorio cinese che, generando una epidemia globale cioè una pandemia, dilaga inesorabilmente sull’intero pianeta decimandone la popolazione. In particolare la prima breve puntata (circa 50 minuti visibili su https://www.youtube.com/watch?v=ael3kqBUHCE) è davvero sorprendente per le analogie con le reazioni semplicistiche odierne, sia dei protagonisti sia delle nazioni europee e soprattutto per gli effetti davvero angoscianti e tuttavia così realistici che sembrerebbero potersi verificare anche nella nostra attuale situazione.

E sarebbe forse meglio che il pubblico spaventato imparasse ad assumere comportamenti adeguati promossi da impressionanti immagini virtuali, piuttosto che dover subire quegli effetti divenuti amare realtà.


*ingegnere e professore ordinario di Economia e organizzazione aziendale presso il Politecnico di Bari, imprenditore e consulente nei settori edilizia, engineering, innovazione tecnologica, comunicazione e formazione professionale.

 
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