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Tettoia, anche se smontabile la Cila non è sufficiente

Tettoia, anche se smontabile la Cila non è sufficiente

Tar Sicilia: per le opere fisse si deve richiedere il permesso di costruire, chi si sente danneggiato può sollecitare i controlli della PA

Vedi Aggiornamento del 27/06/2022
Tettoia, anche se smontabile la Cila non è sufficiente
di Paola Mammarella
Vedi Aggiornamento del 27/06/2022
26/07/2018 - Per la realizzazione di una tettoia è necessario il permesso di costruire. Il Tar Sicilia, con la sentenza 1497/2018, è tornato sull’annosa questione dei titoli abilitativi per gli elementi di arredo degli spazi outdoor.
 
I giudici hanno inoltre spiegato cosa può fare il privato che si senta danneggiato dalle opere realizzate e in che modalità può agire nei confronti della Pubblica Amministrazione che li ha autorizzati.
 

Tettoia, obbligatorio il permesso di costruire

Nel caso preso in esame, il proprietario di una abitazione aveva realizzato una tettoia nel suo cortile. Il manufatto in sé era smontabile in legno lamellare, ma prima della sua installazione era stato realizzato un basamento di cemento armato.
 
Non solo, perché la tettoia era dotata di un sistema di smaltimento delle acque piovane, che, data la conformazione delle opere, sarebbero andate a finire nella parte comune del cortile situata al confine tra due diverse proprietà.
 
Il confinante, che si era sentito danneggiato dall’opera, aveva interpellato il Comune, scoprendo così che per la realizzazione della tettoia era stata depositata una Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila).
 
I giudici hanno ricordato che, data la non precarietà della tettoia e l’invasività delle opere idriche, il proprietario avrebbe dovuto richiedere il permesso di costruire. Dal momento che l’opera sorgeva nel centro storico, la Soprintendenza avrebbe dovuto inoltre valutare la compatibilità dell’intervento con il contesto artistico circostante.
 

Cila, chi si ritiene danneggiato può sollecitare i controlli

Il Tar Sicilia ha spiegato che la Cila non è un provvedimento amministrativo, bensì un atto privato. Per questi motivi, i controinteressati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, eventualmente, agire contro l’inerzia della Pubblica Amministrazione.
 
I giudici hanno ricordato che la Cila è prevista dall’articolo 6 del Testo Unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), così come modificato dal Decreto “Scia” (D.lgs. 222/2016), e costituisce un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia).
 
La Cila, quindi, è un atto del privato privo di natura provvedimentale, anche tacita, e come tale non è immediatamente impugnabile innanzi al Tar. Chi si ritiene danneggiato da un’attività iniziata o realizzata per mezzo di una Cila non può promuovere un’azione di annullamento, ma sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
 
Nel regime di edilizia libera e di edilizia libera certificata, si legge nella sentenza, non è previsto un controllo successivo sistematico che, come accade con la Scia, si conclude con un provvedimento di carattere inibitorio.
 
La Cila deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio. Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso.
 
Una volta effettuati i controlli, si verificano due possibilità. Se i lavori sono effettivamente realizzabili con Cila, l’Amministrazione ha solo un potere sanzionatorio nel caso di in caso di Cila mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità.
 
Se, invece, è stata utilizzata la Cila per opere che invece avrebbero richiesto il permesso di costruire, l'interessato che si ritiene danneggiato può diffidare il Comune, che deve effettuare i controlli e ha l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
 
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