
Il PNRR rischia di trasformare in modo disorganico l’assetto urbano?
URBANISTICA
Il PNRR rischia di trasformare in modo disorganico l’assetto urbano?
L’INU illustra la sua proposta di Programmi Integrati d’Area e i piani programmatici per il PNRR appena introdotti in Campania
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del 04/09/2023

08/09/2022 - Quando gli urbanisti dell’INU hanno incominciato a studiare il PNRR si sono confrontati su interpretazioni opposte e contraddittorie. Alla lettura più immediata emergeva l’assenza dell’urbanistica sia in quanto linee di intervento, sia per quanto riguarda le riforme.
Ad una riflessione più approfondita, poi, si comprendeva quale grande incidenza avevano moltissime misure sulla stessa forma della città, sebbene la loro formulazione fosse di carattere settoriale. In altri termini, cumulandosi tra di loro, come fine ultimo, avrebbero avuto un nuovo assetto urbano, che sarebbe dovuto venir fuori quasi per caso, senza che questa sintesi fosse governata coscientemente all’interno dei diversi programmi di trasformazione.
Il tutto faceva temere il riattualizzarsi del conflitto tra politiche territoriali e governo del territorio, più volte presentatosi, in passato, come ostacolo e deceleratore dell’implementazione, adesso molto più pericoloso con i tempi estremamente accelerati del PNRR. A ben guardare si tratta di un conflitto artificioso ed incomprensibile, frutto di inerzie, piuttosto che di razionalità: delle inerzie dell’amministrazione per settori e dell’urbanistica dello sviluppo urbano.
Quest’approccio, nella cultura di settore e nelle posizioni dell’INU è del tutto tramontata a favore della rigenerazione urbana alla quale un grande impulso dovrebbe giungere dall’obiettivo della transizione ecologica, energetica e informatica. Quindi, ad approfondire contenuti ed obiettivi, la collaborazione e la convergenza dovrebbero essere indispensabili. Si è giunti a postulare una identità perlomeno di scopi e lo strumento di piano urbanistico come quello che si propone di attuare progetti ed interventi.
All’interno di questa cornice si è sviluppata l’elaborazione dell’INU, a partire dai gruppi di lavoro fino a coinvolgere Giunta e Consiglio Direttivo Nazionale, dove la proposta è stata ufficialmente approvata il 10 dicembre 2021, per essere proposta al Governo. Allo strumento è stato dato il nome di Programma Integrato d’Area (PIA) attribuendogli poteri derogatori allo scopo di farlo ricadere completamente nelle competenze statali, per maggiore rapidità, ed evitare il livello legislativo concorrente regionale.
Gli aspetti di maggiore interesse del PIA sono:
- l’approccio strategico;
- la finalità di territorializzazione ed integrazione delle politiche;
- le misure incentivanti;
- la velocità della procedura.
Con il diffondersi degli stili di pianificazione europei nel nostro Paese, la diffusione dell’approccio strategico cresce e potrebbe essene ancora più fertile se fosse assimilato dagli operatori, ancora più a fondo, la sua metodologia, allo scopo di rendere la pianificazione effettivamente attuabile e capace di raggiungere gli obiettivi desiderati. Nella pianificazione urbana e territoriale il metodo strategico viene sempre più utilizzato e guida i piani operativi.
Il secondo punto sta particolarmente a cuore degli urbanisti perché costituisce la concreta opportunità di ritornare al progetto della città pubblica dopo il lungo periodo in cui i tagli al bilancio degli enti locali, non solo hanno ostacolato i progetti di ampliamento delle dotazioni urbanistiche, ma ne hanno impedito perfino la manutenzione. I fondi disponibili con il PNRR potrebbero essere integrati in progetti che guardino alla prossima città ecologica in modo coerente.
Sotto questo profilo, il termine Area utilizzato nel titolo potrebbe essere sviante, sebbene si giustifichi, come dirò poi, per la genesi della proposta. Infatti, sembrerebbe limitare il programma a definite e parziali parti di città dalla connotazione areale. Ebbene, lo strumento viene confermato nel suo carattere selettivo, riconoscendo priorità d’interventi e focalizzazione dell’investimento pubblico (e privato) su obiettivi trainanti e prioritari ma, allo stesso tempo, si riconosce che quegli stessi non hanno solamente carattere areale, ma molto spesso sono reti che devono convertire l’infrastruttura grigia in infrastruttura verde.
S’intende quest’ultima nel senso più esteso, ovvero necessaria a realizzare la transizione ecologica per quanto riguarda i trasporti, l’energia, le informazioni e l’ambiente. Si tratta perciò, di piste ciclabili e reti di trasporto pubblico di massa a basso impatto; di impianti per la produzione di energia da rinnovali e la sua distribuzione; di cablaggio con fibra ottica; di impianti di gestione dei rifiuti; di drenaggio urbano sostenibile, parchi urbani, corridoi ecologici. All’interno di questa cornice sarebbero declinabili in maniera nuova le tradizionali dotazioni urbanistiche in modo da non trascurare la componente sociale.
Il terzo punto si avvale del lavoro di scrutinio svolto dall’INU sui disegni di legge e, in special modo a quelli relativi alla rigenerazione urbana. Su quest’ultimo era maturato un giudizio positivo per quanto riguarda gli incentivi proposti, nella convinzione della necessità dell’incoraggiamento all’iniziativa privata come fattore decisivo per poter portare avanti, nella realtà, il rinnovo delle aree degradate. Da qui deriva anche l’origine areale della proposta che nel dibattito, interno all’INU è sembrata subito limitata se si trattava di assimilare il PIA a dei piani attuativi, destinati al recupero di delimitati quartieri in maniera isolata.
Dal punto di vista tecnico, le reti appena evidenziate, sono indispensabili al funzionamento di nuovi ecoquartieri, mentre sotto quello economico, l’esperienza degli sviluppatori (insieme all’economia urbana) sa che il valore immobiliare dipende dalle qualità dell’immobile sommato a quello del sito in cui si trova e, addirittura, in assenza della riqualificazione del contesto, l’investimento per il rinnovo supera il valore del prodotto finale.
La durata dei procedimenti urbanistici dipende dalla molteplicità degli interessi pubblici e privati coinvolti in decisioni che limitano la proprietà ed incidono su beni essenziali. Perciò è difficile contrarli e lo sforzo compiuto per fare in modo che fossero contenuti nel tempo di un anno andrebbe apprezzato, al di là dell’immediata impressione ancora negativa. Ha valore ancora maggiore se si pensa come, includendo nel PIA tutti i disparati progetti finanziati o finanziabili si unifica in un procedimento solo quello che sarebbe normalmente moltiplicato in una numerosa quantità di procedure più o meno parallele e successive. Questa semplificazione risulta tanto più efficace quanto maggiormente è sviluppata la capacità di previsione.
Tuttavia, si può vedere anche la cosa sotto un diverso aspetto, ovvero quello di ribaltare le pratiche prevalenti, secondo le quali gli enti locali sono in attesa del bando per escogitare il modo per partecipavi pescando il progetto più adatto a concorrere. La filosofia opposta sarebbe quella di costruire programmi locali di transizione (i PIA) che declinino gli obiettivi europei e nazionali secondo le esigenze e caratteristiche locali, preparandosi in questo modo a partecipare ai bandi. Sebbene quest’approccio sia alquanto minoritario, per quanto l’INU ha monitorato finora, sembra anche quello che paga di più, con partecipazioni più competitive e ricadute più efficaci.
L’INU ha rilevato l’assenza della riforma urbanistica nel PNRR, si diceva prima, e la necessità di rinnovare una legge in vigore da 80 anni. È vero che sono intervenute numerose modifiche, ma sono state tutte periziali: risposte urgenti a problemi emergenziali come la frana di Agrigento e l’alluvione di Venezia; le lotte per la casa; le crisi industriali o il degrado ed abbandono dei centri storici. Anche le rivendicazioni riformiste si sono accontentate di strappare obiettivi qualificanti mirati come gli standard urbanistici o le cessioni nei comparti edificatori e i metodi perequativi. L’introduzione costituzionale della legislazione concorrente stato-regioni, se ha incentivato la produzione legislativa regionale, ha visto assente lo Stato per la sua parte.
L’INU, insieme alle altre associazioni del settore urbanistico il CeNSU e la SIU ha realizzato una poderosa rassegna della legislazione regionale pubblicata dal Sole 24 Ore da cui si ricavano importanti indicazioni di innovazione generalizzabili, oltre alle costrizioni in cui si deve muovere il legislatore regionale per dover rispettare comunque la Legge 1150/1942.
Questi gruppi di studio consideravano la rassegna il punto di partenza per avanzare una proposta di legge di principi nazionale che è stata schematizzata ne l’Ingegnere Italiano, n. 380 e presentata in un convegno del CeNSU a Catania al Ministro Giovannini il quale la inserì nella commissione che stava costituendo per elaborare una proposta in merito al rinnovo del DM 1440/68 e del DPR 380/2001. In realtà questa mossa colse tutti di sorpresa perché il lavoro sulla proposta di legge di principi era portato avanti senza speranza nell’attenzione della politica e, purtroppo, la prematura fine del governo sembra aver confermato quello scetticismo.
Ho richiamato queste circostanze, un poco per inquadrare meglio il contesto in cui nasce il PIA. È una proposta subordinata a quella di una riforma generale compiuta ma dettata anche dalla difficoltà a raggiungere un obiettivo tanto ambizioso. L’interpretazione del quadro delle opportunità politiche aveva suggerito all’INU una politica di doppio binario dove il PIA si configurava come l’obiettivo più urgente e strategico.
La Regione Campania, ente associato INU, si trova esattamente nel medesimo guado. Nella precedente legislatura aveva dedicato più di un anno di tempo per elaborare la nuova legge regionale di governo del territorio. Il provvedimento aveva avuto molteplici contributi tecnici e politici, giungendo fino in Commissione Consiliare ed ampliandosi fino a diventare una sorta di testo unico senza tuttavia perdere la sua spiccata impronta innovativa. Col sopraggiungere delle elezioni, era però riuscito ad ottenere solamente la Delibera di Giunta. Con la nuova consiliatura, sebbene confermata nel colore politico, tutto l’iter riprende daccapo con previsioni di non breve periodo data l’ampiezza del provvedimento con le conseguenti probabilità di resistenza.
In questo quadro di impasse, si fanno avanti gli interessi dell’industria edilizia la quale, sviluppandosi nel settore del rinnovo edilizio, incentivata dal Piano Casa, era allarmata per la scadenza di quest’ultimo e richiedeva provvedimenti che continuassero a sostenere il settore del recupero.
Nell’occasione, il CDR di INU Campania ha richiamato la Regione a non fare in modo che il provvedimento, approvato poi con LR 13 del 10 agosto 2022, costituisse un alibi per rinunciare definitivamente al provvedimento organico che si andava sviluppando parallelamente.
Richiamando la politica del doppio binario, va anche apprezzato come siano stati introdotti al comma e) dell’art. 3 i piani programmatici per il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PPpPNRR), il cui profilo è del tutto riconducibile agli inizialmente descritti PIA o che ad essi si può ricondurre. I tre commi dedicati alla legge definiscono il PPpPNRR come una speciale connotazione della componente programmatica/operativa dei PUC, restituendogli comunque compiutezza di strumento urbanistico.
Questa mossa da una parte lo inserisce nel sistema di pianificazione regionale senza aggravarlo di maggiori strumenti, dall’altra, anticipa provvedimenti del DdL sul governo del territorio. È esteso l’oggetto a tutte le politiche e fondi, riconoscendogli il carattere settorialmente integrato, indirizzandolo chiaramente allo sviluppo sostenibile.
La procedura è intestata al comune o a loro raggruppamenti, lasciando molto flessibile l’area di intervento, evidentemente in funzione dei contenuti. Agli stessi sono attribuite le competenze di approvazione sia nel caso presenza di varianti (Consiglio Comunale) che non (Giunta). Pertanto, quello che non è stato possibile raggiungere con il governo, si è potuto ottenere a livello regionale e diventa un esempio replicabile e da incentivare, a quel livello, per una rapida ed efficiente attuazione della transizione.
Ad una riflessione più approfondita, poi, si comprendeva quale grande incidenza avevano moltissime misure sulla stessa forma della città, sebbene la loro formulazione fosse di carattere settoriale. In altri termini, cumulandosi tra di loro, come fine ultimo, avrebbero avuto un nuovo assetto urbano, che sarebbe dovuto venir fuori quasi per caso, senza che questa sintesi fosse governata coscientemente all’interno dei diversi programmi di trasformazione.
Il tutto faceva temere il riattualizzarsi del conflitto tra politiche territoriali e governo del territorio, più volte presentatosi, in passato, come ostacolo e deceleratore dell’implementazione, adesso molto più pericoloso con i tempi estremamente accelerati del PNRR. A ben guardare si tratta di un conflitto artificioso ed incomprensibile, frutto di inerzie, piuttosto che di razionalità: delle inerzie dell’amministrazione per settori e dell’urbanistica dello sviluppo urbano.
Quest’approccio, nella cultura di settore e nelle posizioni dell’INU è del tutto tramontata a favore della rigenerazione urbana alla quale un grande impulso dovrebbe giungere dall’obiettivo della transizione ecologica, energetica e informatica. Quindi, ad approfondire contenuti ed obiettivi, la collaborazione e la convergenza dovrebbero essere indispensabili. Si è giunti a postulare una identità perlomeno di scopi e lo strumento di piano urbanistico come quello che si propone di attuare progetti ed interventi.
All’interno di questa cornice si è sviluppata l’elaborazione dell’INU, a partire dai gruppi di lavoro fino a coinvolgere Giunta e Consiglio Direttivo Nazionale, dove la proposta è stata ufficialmente approvata il 10 dicembre 2021, per essere proposta al Governo. Allo strumento è stato dato il nome di Programma Integrato d’Area (PIA) attribuendogli poteri derogatori allo scopo di farlo ricadere completamente nelle competenze statali, per maggiore rapidità, ed evitare il livello legislativo concorrente regionale.
Gli aspetti di maggiore interesse del PIA sono:
- l’approccio strategico;
- la finalità di territorializzazione ed integrazione delle politiche;
- le misure incentivanti;
- la velocità della procedura.
Con il diffondersi degli stili di pianificazione europei nel nostro Paese, la diffusione dell’approccio strategico cresce e potrebbe essene ancora più fertile se fosse assimilato dagli operatori, ancora più a fondo, la sua metodologia, allo scopo di rendere la pianificazione effettivamente attuabile e capace di raggiungere gli obiettivi desiderati. Nella pianificazione urbana e territoriale il metodo strategico viene sempre più utilizzato e guida i piani operativi.
Il secondo punto sta particolarmente a cuore degli urbanisti perché costituisce la concreta opportunità di ritornare al progetto della città pubblica dopo il lungo periodo in cui i tagli al bilancio degli enti locali, non solo hanno ostacolato i progetti di ampliamento delle dotazioni urbanistiche, ma ne hanno impedito perfino la manutenzione. I fondi disponibili con il PNRR potrebbero essere integrati in progetti che guardino alla prossima città ecologica in modo coerente.
Sotto questo profilo, il termine Area utilizzato nel titolo potrebbe essere sviante, sebbene si giustifichi, come dirò poi, per la genesi della proposta. Infatti, sembrerebbe limitare il programma a definite e parziali parti di città dalla connotazione areale. Ebbene, lo strumento viene confermato nel suo carattere selettivo, riconoscendo priorità d’interventi e focalizzazione dell’investimento pubblico (e privato) su obiettivi trainanti e prioritari ma, allo stesso tempo, si riconosce che quegli stessi non hanno solamente carattere areale, ma molto spesso sono reti che devono convertire l’infrastruttura grigia in infrastruttura verde.
S’intende quest’ultima nel senso più esteso, ovvero necessaria a realizzare la transizione ecologica per quanto riguarda i trasporti, l’energia, le informazioni e l’ambiente. Si tratta perciò, di piste ciclabili e reti di trasporto pubblico di massa a basso impatto; di impianti per la produzione di energia da rinnovali e la sua distribuzione; di cablaggio con fibra ottica; di impianti di gestione dei rifiuti; di drenaggio urbano sostenibile, parchi urbani, corridoi ecologici. All’interno di questa cornice sarebbero declinabili in maniera nuova le tradizionali dotazioni urbanistiche in modo da non trascurare la componente sociale.
Il terzo punto si avvale del lavoro di scrutinio svolto dall’INU sui disegni di legge e, in special modo a quelli relativi alla rigenerazione urbana. Su quest’ultimo era maturato un giudizio positivo per quanto riguarda gli incentivi proposti, nella convinzione della necessità dell’incoraggiamento all’iniziativa privata come fattore decisivo per poter portare avanti, nella realtà, il rinnovo delle aree degradate. Da qui deriva anche l’origine areale della proposta che nel dibattito, interno all’INU è sembrata subito limitata se si trattava di assimilare il PIA a dei piani attuativi, destinati al recupero di delimitati quartieri in maniera isolata.
Dal punto di vista tecnico, le reti appena evidenziate, sono indispensabili al funzionamento di nuovi ecoquartieri, mentre sotto quello economico, l’esperienza degli sviluppatori (insieme all’economia urbana) sa che il valore immobiliare dipende dalle qualità dell’immobile sommato a quello del sito in cui si trova e, addirittura, in assenza della riqualificazione del contesto, l’investimento per il rinnovo supera il valore del prodotto finale.
La durata dei procedimenti urbanistici dipende dalla molteplicità degli interessi pubblici e privati coinvolti in decisioni che limitano la proprietà ed incidono su beni essenziali. Perciò è difficile contrarli e lo sforzo compiuto per fare in modo che fossero contenuti nel tempo di un anno andrebbe apprezzato, al di là dell’immediata impressione ancora negativa. Ha valore ancora maggiore se si pensa come, includendo nel PIA tutti i disparati progetti finanziati o finanziabili si unifica in un procedimento solo quello che sarebbe normalmente moltiplicato in una numerosa quantità di procedure più o meno parallele e successive. Questa semplificazione risulta tanto più efficace quanto maggiormente è sviluppata la capacità di previsione.
Tuttavia, si può vedere anche la cosa sotto un diverso aspetto, ovvero quello di ribaltare le pratiche prevalenti, secondo le quali gli enti locali sono in attesa del bando per escogitare il modo per partecipavi pescando il progetto più adatto a concorrere. La filosofia opposta sarebbe quella di costruire programmi locali di transizione (i PIA) che declinino gli obiettivi europei e nazionali secondo le esigenze e caratteristiche locali, preparandosi in questo modo a partecipare ai bandi. Sebbene quest’approccio sia alquanto minoritario, per quanto l’INU ha monitorato finora, sembra anche quello che paga di più, con partecipazioni più competitive e ricadute più efficaci.
L’INU ha rilevato l’assenza della riforma urbanistica nel PNRR, si diceva prima, e la necessità di rinnovare una legge in vigore da 80 anni. È vero che sono intervenute numerose modifiche, ma sono state tutte periziali: risposte urgenti a problemi emergenziali come la frana di Agrigento e l’alluvione di Venezia; le lotte per la casa; le crisi industriali o il degrado ed abbandono dei centri storici. Anche le rivendicazioni riformiste si sono accontentate di strappare obiettivi qualificanti mirati come gli standard urbanistici o le cessioni nei comparti edificatori e i metodi perequativi. L’introduzione costituzionale della legislazione concorrente stato-regioni, se ha incentivato la produzione legislativa regionale, ha visto assente lo Stato per la sua parte.
L’INU, insieme alle altre associazioni del settore urbanistico il CeNSU e la SIU ha realizzato una poderosa rassegna della legislazione regionale pubblicata dal Sole 24 Ore da cui si ricavano importanti indicazioni di innovazione generalizzabili, oltre alle costrizioni in cui si deve muovere il legislatore regionale per dover rispettare comunque la Legge 1150/1942.
Questi gruppi di studio consideravano la rassegna il punto di partenza per avanzare una proposta di legge di principi nazionale che è stata schematizzata ne l’Ingegnere Italiano, n. 380 e presentata in un convegno del CeNSU a Catania al Ministro Giovannini il quale la inserì nella commissione che stava costituendo per elaborare una proposta in merito al rinnovo del DM 1440/68 e del DPR 380/2001. In realtà questa mossa colse tutti di sorpresa perché il lavoro sulla proposta di legge di principi era portato avanti senza speranza nell’attenzione della politica e, purtroppo, la prematura fine del governo sembra aver confermato quello scetticismo.
Ho richiamato queste circostanze, un poco per inquadrare meglio il contesto in cui nasce il PIA. È una proposta subordinata a quella di una riforma generale compiuta ma dettata anche dalla difficoltà a raggiungere un obiettivo tanto ambizioso. L’interpretazione del quadro delle opportunità politiche aveva suggerito all’INU una politica di doppio binario dove il PIA si configurava come l’obiettivo più urgente e strategico.
La Regione Campania, ente associato INU, si trova esattamente nel medesimo guado. Nella precedente legislatura aveva dedicato più di un anno di tempo per elaborare la nuova legge regionale di governo del territorio. Il provvedimento aveva avuto molteplici contributi tecnici e politici, giungendo fino in Commissione Consiliare ed ampliandosi fino a diventare una sorta di testo unico senza tuttavia perdere la sua spiccata impronta innovativa. Col sopraggiungere delle elezioni, era però riuscito ad ottenere solamente la Delibera di Giunta. Con la nuova consiliatura, sebbene confermata nel colore politico, tutto l’iter riprende daccapo con previsioni di non breve periodo data l’ampiezza del provvedimento con le conseguenti probabilità di resistenza.
In questo quadro di impasse, si fanno avanti gli interessi dell’industria edilizia la quale, sviluppandosi nel settore del rinnovo edilizio, incentivata dal Piano Casa, era allarmata per la scadenza di quest’ultimo e richiedeva provvedimenti che continuassero a sostenere il settore del recupero.
Nell’occasione, il CDR di INU Campania ha richiamato la Regione a non fare in modo che il provvedimento, approvato poi con LR 13 del 10 agosto 2022, costituisse un alibi per rinunciare definitivamente al provvedimento organico che si andava sviluppando parallelamente.
Richiamando la politica del doppio binario, va anche apprezzato come siano stati introdotti al comma e) dell’art. 3 i piani programmatici per il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PPpPNRR), il cui profilo è del tutto riconducibile agli inizialmente descritti PIA o che ad essi si può ricondurre. I tre commi dedicati alla legge definiscono il PPpPNRR come una speciale connotazione della componente programmatica/operativa dei PUC, restituendogli comunque compiutezza di strumento urbanistico.
Questa mossa da una parte lo inserisce nel sistema di pianificazione regionale senza aggravarlo di maggiori strumenti, dall’altra, anticipa provvedimenti del DdL sul governo del territorio. È esteso l’oggetto a tutte le politiche e fondi, riconoscendogli il carattere settorialmente integrato, indirizzandolo chiaramente allo sviluppo sostenibile.
La procedura è intestata al comune o a loro raggruppamenti, lasciando molto flessibile l’area di intervento, evidentemente in funzione dei contenuti. Agli stessi sono attribuite le competenze di approvazione sia nel caso presenza di varianti (Consiglio Comunale) che non (Giunta). Pertanto, quello che non è stato possibile raggiungere con il governo, si è potuto ottenere a livello regionale e diventa un esempio replicabile e da incentivare, a quel livello, per una rapida ed efficiente attuazione della transizione.